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Nel “DNA spazzatura” trovata la chiave per aumentare di almeno il 10% le diagnosi di alcune malattie rare e sviluppare terapie di precisione

L’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola coordina lo studio scientifico “PARADIGM”, pensato per individuare variazioni genomiche sino ad ora sfuggite alle indagini tradizionali. La ricerca, che si concentra in particolare su malattie dell’occhio – come la retinite pigmentosa – e neuromuscolari, si propone anche di definire approcci terapeutici di precisione basati su trattamenti a RNA e editing genetico. Da alcuni mesi, grazie a “HEAL Italia”, al Sant’Orsola di Bologna è arrivato anche un sequenziatore di ultima generazione da 200mila euro. Giovedì 6 marzo, inoltre, il Policlinico ospita i nuovi Stati Generali delle Malattie Rare.

Concentrarsi su quello che, fino a poco tempo fa, veniva ritenuto inutile, da scartare. Potrebbe essere questa la chiave di volta per identificare l’esatta origine genetica di alcune rare malattie dell’occhio e neuromuscolari, come la retinite pigmentosa. Sfruttando poi le conoscenze così acquisite per sviluppare approcci terapeutici di precisione, capaci di alleviare i sintomi più impattanti.

È la filosofia di “PARADIGM”, studio scientifico multicentrico che coinvolge, l’Università degli Studi di Napoli Federico II, l’AOU Luigi Vanvitelli di Napoli e la Fondazione Mondino IRCCS di Pavia. Il progetto di ricerca, finanziato con un milione di euro grazie ai fondi PNRR, si propone infatti di superare le indagini genetiche tradizionali, che si limitano prevalentemente all’analisi del DNA codificante, e di allargare lo sguardo al restante 98% del DNA. Vale a dire, a tutte quelle sequenze di DNA che non codificano direttamente le proteine e che proprio per questo motivo, fino a qualche anno fa, venivano ritenute inutili – tanto da essere definite “DNA spazzatura”. E che invece intervengono nella regolazione dell’espressione genica, giocando dunque un ruolo – in presenza di una mutazione – nello sviluppo di alcune malattie rare.

Grazie a questo approccio, che combina tecniche multiomiche avanzate e tecnologie di ultima generazione, i ricercatori sono già riusciti a individuare diverse mutazioni genetiche sinora sfuggite alle indagini tradizionali. “L’analisi dell’esoma in passato ha rivoluzionato la genomica in medicina, ma da sola consente di arrivare ad una diagnosi soltanto nel 50% dei casi. Il nostro obiettivo è quello di incrementare il tasso diagnostico di queste malattie rare almeno del 10%: stiamo parlando in molti casi di pazienti che attendevano da anni di identificare la mutazione che causa la malattia – dichiara Tommaso Pippucci, responsabile della Piattaforma di ricerca di Genomica Computazionale dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola – Un passaggio che è fondamentale per ambire a definire una terapia. Proprio per questo motivo, il progetto non si limita a individuare la mutazione, ma ha l’ambizione di proporre un modello per una rete trasversale dalla diagnosi alla cura della malattia”.

PARADIGM è infatti pensato per proporre una presa in carico completa. “La maggior parte degli studi scientifici si concentrano sulla diagnosi o sulla cura come se fossero due momenti alternativi – continua Pippucci – Il nostro progetto invece tiene insieme questi due momenti per tracciare un’univa linea tra la diagnosi molecolare e la formulazione della terapia, che si basa sulla specifica mutazione individuata”.

Venendo modellati caso per caso, i trattamenti sono quindi realmente personalizzati su ciascun paziente. Strategie diverse possono essere applicate nel tentativo di “disegnare” una terapia: dalla somministrazione (tramite iniezioni periodiche) di oligonucleotidi antisenso, brevi sequenze di RNA artificiali capaci di intervenire sull’espressione anomala del gene, al genome editing che corregge il difetto modificando direttamente la sequenza di DNA, fino alla creazione di veri e propri mini-organi in vitro (i cosiddetti “organoidi”) per verificare l’effetto terapeutico proprio sul tessuto d’interesse derivato dal paziente.

“Chiaramente, trattandosi di malattie degenerative, prima siamo in grado di iniziare la terapia meglio è. Per questo diagnosi e cura sono così strettamente collegate”. Per esempio, il termine “retinite pigmentosa” identifica un gruppo di rare malattie genetiche dell’occhio accomunate dalla progressiva degenerazione della retina. La retinite si può presentare come sintomo isolato oppure in forma sindromica, come nel caso della sindrome di Senior-Loken dove è accompagnata da problematiche renali. Nei pazienti colpiti la retina perde con il passare del tempo la propria capacità di trasmettere le informazioni visive, restringendo sempre di più il campo visivo periferico e portando ad una progressiva perdita della vista, in molti casi fino alla cecità.

Il meccanismo patogenetico, legato alla degenerazione dei fotorecettori, può essere innescato da diverse mutazioni genetiche. Alcune si sviluppano negli esoni e possono essere oggi facilmente diagnosticate grazie alle indagini genetiche “tradizionali”, mentre altre insistono sul restante 98% di DNA non codificante e sono ancora difficili da identificare e interpretare. Proprio per la sfida dettata da queste difficoltà, PARADIGM si concentra in particolare su queste ultime.

Ad oggi non esiste una cura definitiva per il 95% delle malattie genetiche rare, ma solo alcuni trattamenti capaci di rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Le terapie geniche rappresentano però una delle frontiere più interessanti nel contesto della medicina di precisione, andando ad agire proprio sul difetto genetico del paziente. “Il progetto sta già fornendo risultati promettenti – conclude Pippucci – Alla fine avremo analizzato più di 100 famiglie e la nostra speranza è che i risultati dello studio possano rappresentare un esempio di percorso diagnostico-terapeutico innovativo da integrare nel nostro sistema sanitario nazionale facendo leva sulle professionalità e competenze che caratterizzano i nostri ospedali e centri di ricerca”.

Da qualche mese, peraltro, i ricercatori dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola possono contare anche su un nuovo sequenziatore a nanopori, un dispositivo di ultima generazione capace di leggere sequenze molto più lunghe di DNA e RNA. Questo strumento – costato circa 200mila euro e acquisito grazie a “HEAL Italia”, la Fondazione italiana per la Ricerca di terapie innovative in ambito di Medicina di Precisione nata grazie ai finanziamenti PNRR – consente di aumentare di oltre il 100% la capacità di identificare varianti genetiche di fondamentale importanza clinica e sarà utilizzato in progetti di ricerca volti alla caratterizzazione di malattie e tumori rari senza diagnosi o di cui ancora non si conosce il meccanismo patogenetico.

“Bologna si conferma un punto di riferimento a livello nazionale sia per la ricerca scientifica in campo genetico sia per la presa in carico delle persone con malattie rare – commenta il Direttore Scientifico dell’IRCCS Marco Seri – In questo senso, siamo orgogliosi di essere stati scelti per ospitare la nuova edizione degli Stati Generali delle Malattie Rare, un appuntamento chiave per il confronto tra coordinamenti regionali e aziende sanitarie impegnate sul tema”. L’appuntamento, in programma giovedì 6 marzo presso l’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, chiama a raccolta autorità ed esperti del settore. Obiettivo: individuare best practice e criticità nei modelli organizzativi e gestionali, superando l’attuale frammentazione del sistema sanitario italiano.

Nonostante gli interventi normativi e le strategie mirate introdotte negli ultimi anni, l’assistenza alle persone con malattie rare sul territorio italiano rimane infatti disomogenea. Gli Stati Generali, nati a Padova su impulso dell’Azienda Ospedale-Università locale, assumono ora un carattere itinerante per favorire un confronto più ampio e costruttivo. “Bologna sarà quindi la sede di un dibattito serrato, in cui esperti, amministratori e professionisti sanitari metteranno a confronto esperienze e strategie per costruire un sistema più coeso ed efficace nella gestione delle malattie rare” conclude Seri.

Le malattie rare sono un gruppo estremamente eterogeneo di patologie. Una singola patologia colpisce meno di una persona ogni 2mila abitanti, ma considerate collettivamente costituiscono un problema sanitario capace di interessare milioni di persone.

In Emilia-Romagna risultano in carico al servizio sanitario regionale oltre 59mila pazienti, in buona parte provenienti da fuori regione. Le strutture del Sant’Orsola seguono più di 11mila pazienti, per un totale di circa 225 patologie.

Le malattie richiedono una gestione assistenziale complessa, sia per la loro rarità, sia per il coinvolgimento multi-sistemico, sia per la loro cronicità e gravità. Ad oggi 26 centri all’interno dell’IRCCS sono stati accreditati dalla Regione come centri di riferimento per le malattie rare. Attualmente 13 centri fanno parte di 12 ERN, network nati con l’obiettivo di creare connessioni tra i centri di alta specializzazione in Europa per condividere conoscenze e competenze in materia.

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