I risultati dei primi tre anni di attività dell’Ambulatorio di Cardiogenetica del Centro Cardiologico Monzino IRCCS confermano l’efficacia del test genetico nel diagnosticare preventivamente le cardiopatie ereditarie, che minacciano soprattutto i nostri giovani. Su 600 pazienti sottoposti a test genetico, il 40% ha ricevuto un referto positivo con almeno una variante genetica patologica o sospetta, vale a dire una mutazione nei geni che può dare origine a una malattia genetica ereditaria. Il test genetico esteso a 137 famigliari dei pazienti ha rivelato che il 52% è portatore della stessa variante patogenetica del suo parente.
“Scoprire una variante genetica significa segnalare il rischio di sviluppare una cardiopatia ereditaria e dunque aprire delle possibilità di prevenzione e in molti casi salvare la vita a se stessi e ai propri famigliari. Le varianti genetiche responsabili di queste patologie hanno infatti il 50% di probabilità di essere trasmesse da genitore a figlio. Il tutto senza sottoporsi a un lungo iter di esami, ma con un semplice prelievo di sangue. Ogni anno in Italia perdiamo per patologie cardiache ereditarie circa 1.000 giovani sotto i 35 anni, che stanno bene e non hanno nessun sintomo premonitore. La maggior parte di questi ragazzi potrebbero essere salvati con una diagnosi molecolare. Si tratta di malattie denominate come rare, ma che in effetti non lo sono. Si stima ad esempio che la sindrome QT lungo colpisca 1 giovane su 2.000” dichiara Valeria Novelli, coordinatrice del Programma di Cardiogenetica del Monzino.
Le cardiopatie ereditarie ad oggi classificate appartengono per la maggior parte alla famiglia delle Malattie Aritmogene Ereditarie. Attualmente vengono intercettate in occasione di visite di altra natura, tipicamente visite di check-up per l’attività sportiva, durante le quali possono emergere aritmie sospette, oppure perché i soggetti manifestano un evento aritmico, come un arresto cardiaco o una sincope. Queste diagnosi “casuali” spesso consentono di scoprire patologie come ad esempio il QT lungo, la sindrome di Brugada, la cardiomiopatia aritmogena: tutte malattie che possono esitare in successive manifestazioni gravi o anche mortali e che possono essere prevenute con un programma di sorveglianza attiva oppure con una terapia profilattica, che in alcuni casi può consistere anche nell’impianto di un loop recorder o di un defibrillatore impiantabile.
“Va sottolineato che le varianti che identifichiamo con il test genetico possono essere benigne o maligne oppure essere “varianti di significato incerto”, vale a dire alterazioni che ad oggi non hanno abbastanza evidenze per essere classificate, ma potrebbero domani essere decodificate ed avere un nome. Abbiamo calcolato che il 60% delle varianti identificate nel nostro ambulatorio sono VUS. In termini pratici significa che la persona portatrice di VUS non seguirà terapie profilattiche, ma verrà inserita in un programma di rivalutazione. I nostri dati confermano che, effettuando una rivalutazione ogni 6 mesi, il 25% delle VUS viene nel tempo riclassificata. La scienza in questo campo progredisce molto rapidamente. Non a caso il Ministero della Salute ha introdotto nei nuovi LEA la rianalisi del test genetico nel tempo. Analogamente, in caso di test genetico negativo, non possiamo escludere la presenza della malattia, in quanto alcuni geni associati a queste patologie sono ancora in fase di studio. Per questo al Monzino rivalutiamo ogni anno i pazienti con test genetico negativo per sottoporli ad ulteriori indagini genetiche, qualora ci fossero nuove scoperte” aggiunge Novelli.
“Ho voluto fortemente un centro di ricerca e cura dedicato alla cardiogenetica e posso affermare che anche grazie a questa iniziativa il Monzino è fra i primi centri in Italia per la diagnosi e cura delle principali forme di malattie cardiache ereditarie. Già oggi la cardiogenetica ha un ruolo cruciale nella tutela della salute del cuore, che in futuro diventerà sempre più rilevante. Oggi riconosciamo molte patologie come ereditarie e nel 40-50% dei pazienti siamo in grado di identificare la specifica mutazione genetica delle patologie cardiache su base ereditaria. Siamo dunque a metà strada: ora dobbiamo riuscire a dare volto e forma alle patologie genetiche ereditarie del restante 50% di pazienti, per cui ancora, con molta probabilità, non conosciamo i geni causativi. Da qui l’importanza della ricerca e dell’interpretazione dei dati e delle informazioni che da essa derivano: nella pluralità di geni coinvolti nello sviluppo di una malattia dobbiamo riuscire a identificare quelli più importanti ed è un processo continuo di ricerca e cura” conclude Giulio Pompilio. Direttore Scientifico Monzino.