Colpisce tra le dieci e le venti persone su un milione. Non è una malattia genetica, ma insorge dalla mutazione somatica del DNA di una cellula staminale emopoietica, che ha il compito di generare globuli rossi. È l’emoglobinuria parossistica notturna, una patologia che causa la distruzione degli eritrociti con conseguente calo del livello di emoglobina. Contro questa malattia cronica, solo di recente sono stati sviluppati e approvati negli Stati Uniti e in Europa farmaci che possono essere assunti per via orale.
Per lo più sconosciuta al grande pubblico, l’EPN insorge soprattutto nella fascia di popolazione d’età compresa tra i 20 e i 40 anni. In Italia ne soffrono circa 350 persone. Una cifra, questa, che da un lato certifica quanto la patologia sia rara, ma dall’altro evidenzia anche la necessità di parlarne di più e con maggior frequenza.
È con questo obiettivo che Novartis ha organizzato a Milano un incontro con esperti e associazioni dei pazienti. A dare una prima definizione dell’emoglobinuria è stata la dottoressa Anna Paola Iori del Policlinico “Umberto I” di Roma, che ha sottolineato come l’EPN non sia né una malattia oncologica né tantomeno ereditaria o trasmissibile. “Tutto parte casualmente da una mutazione somatica del DNA di una cellula staminale emopoietica, che inizia a produrre globuli rossi privi di quelle proteine poste sulla superficie cellulare che difendono l’eritrocita dalla rottura dovuta a un sistema di difesa immunitaria, quello del complemento. Il ruolo del complemento è eliminare batteri e microrganismi, ma a causa dell’alterazione di cui soffrono i globuli rossi si ritrova a distruggere anche gli eritrociti”. L’emolisi, cioè la rottura delle cellule del sangue, può essere di due tipi. “Intra o extravascolare”, ha spiegato il dottor Bruno Fattizzo del Policlinico di Milano. “Nel primo caso la distruzione dei globuli rossi avviene all’interno dei vasi sanguigni, mentre nel secondo in organi come fegato e milza”.
I sintomi con cui l’EPN si manifesta sono molti e differenti tra loro, ma la dottoressa Iori ha evidenziato i più ricorrenti. “C’è una triade, in particolare: la presenza o compresenza di anemia, un aumentato rischio di trombosi e insufficienza midollare. I pazienti accusano eccessiva stanchezza, affanno e urine scure, tutti segnali che per primi inducono la persona a rivolgersi a un medico”, ha affermato la dottoressa Iori, che poi ha aggiunto: “Ci sono anche manifestazioni cliniche più pesanti, come la trombosi addominale o cerebrale: in casi del genere, il paziente è portato ad andare in pronto soccorso e lì inizia il suo percorso diagnostico. Ovviamente ci si rivolge anche all’ematologo in presenza di analisi del sangue alterate, mentre è più raro che si consulti un nefrologo, un urologo, un gastroenterologo o un neurologo”.
Proprio a causa di questa varietà sintomatologica, il grande problema sta nel ritardo della diagnosi. Meno del 40% dei pazienti la riceve entro un anno dall’insorgenza delle prime difficoltà e addirittura il 24% di tutte le diagnosi richiede cinque anni o più. Quando finalmente la malattia viene individuata, il paziente è preso in carico da centri specialistici presenti in quasi tutte le regioni d’Italia. Come però ha evidenziato Angelo Lupi, presidente di A.MA.RE Onlus – Associazione Malattie Rare Ematologiche, “Bisognerebbe fare maggiore rete e avere un archivio attraverso cui dialogare per confrontare le difficoltà che vivono e affrontano le persone affette da emoglobinuria. Inoltre, il più grande bisogno ancora inevaso resta la terapia. È necessario insistere, andare avanti con la ricerca, soprattutto perché i pazienti sono giovani, hanno un’età compresa tra i 20 e i 40 anni. Sono cioè persone che studiano, lavorano, iniziano a formarsi una famiglia; come associazione pazienti dobbiamo sostenerle nel migliore dei modi, aiutando allo stesso tempo i centri specialistici e i medici che se ne prendono cura”.
Sono stati proprio i bisogni clinici insoddisfatti a portare allo sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche che, ha illustrato la dottoressa Iori, “Non guariscono il globulo rosso, ma bloccano l’azione di emolisi che compie il complemento. Oggi ci sono farmaci regolarmente utilizzati per la gestione della malattia, così come ce ne sono altri già autorizzati dalla Food and Drug Administration e dall’Agenzia europea del Farmaco che presto arriveranno anche in Italia”.
Tra le terapie più innovative c’è Iptacopan, sviluppato da Novartis. Questo inibitore prossimale del complemento si assume per via orale, caratteristica privilegiata dai pazienti, ed è in grado di controllare sia l’emolisi intravascolare sia quella extravascolare. Attraverso l’assunzione di questo farmaco, le persone affette da EPN hanno ripristinato livelli di emoglobina vicini alla normalità. In molti hanno raggiunto la soglia dei 12 grammi per decilitro in assenza di trasfusioni di globuli rossi, necessarie a causa dell’anemia. Inoltre, è stato notato anche un miglioramento dell’affaticamento generale del paziente, ma in futuro si dovranno necessariamente studiare altre soluzioni per alzare la qualità della vita, fino ad arrivare a un piano di trattamento efficace e individualizzato per ognuno.
“Vogliamo offrire ai pazienti con malattie del sangue una vita lunga e libera dai sintomi”, ha dichiarato Paola Coco, Chief Scientific Officer & Medical Affairs Head di Novartis Italia. “Sappiamo che a oggi ci sono ancora dei bisogni insoddisfatti; ci auguriamo quindi di poter fare la differenza e di aiutare le persone che convivono con emoglobinuria a riprendere in mano la loro vita”.