Il cancro alla prostata è il secondo tumore più comune tra gli uomini. Approcci come la prostatectomia radicale, la chemioterapia, la radioterapia e la terapia ormonale sono spesso efficaci inizialmente, ma in seguito possono insorgere resistenze alle cure. Nonostante molte ricerche siano in corso sul cancro alla prostata, i meccanismi sottostanti la resistenza alla terapiasono tutt’ora poco compresi.

Buona parte dei trattamenti attualmente utilizzati in clinica, in una prima fase induce un arresto irreversibile della crescita cellulare, noto come senescenza cellulare.

Si inserisce in questo contesto lo studio di un gruppo di scienziati dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare, dell’Università degli Studi di Padova e dell’Istituto Oncologico di Ricerca di Bellinzona presso l’Università della Svizzera italiana. I ricercatori hanno identificato un approccio innovativo per trattare il cancro alla prostata che coinvolge la senescenza cellulare e un sottoinsieme di cellule del sistema immunitario ad azione antitumorale, note come cellule Natural Killer.

La senescenza cellulare può inizialmente arrestare la proliferazione delle cellule tumorali; tuttavia, in specifiche circostanze può promuovere la resistenza alla terapia e facilitare la diffusione di metastasi.

I ricercatori del gruppo di Oncologia Molecolare, guidati dal Prof. Andrea Alimonti, Principal Investigator del VIMM e dell’Istituto Oncologico di Ricerca di Bellinzona affiliato all’Università della Svizzera italiana, e dalla Prof.ssa Monica Montopoli, Associate Investigator del VIMM, sono partiti proprio da questa idea per sviluppare un nuovo approccio per trattare il cancro alla prostata.

“La senescenza nelle cellule tumorali”, spiega il Prof. Alimonti, “può essere un processo biologico che si può sfruttare per implementare gli attuali approcci terapeutici nel cancro alla prostata”.

“A tal fine abbiamo scoperto che gli agonisti del recettore dell’acido retinoico inibiscono la proliferazione delle cellule tumorali della prostata e possono essere combinati con docetaxel, attualmente uno dei farmaci di elezione per la cura del cancro alla prostata” aggiunge la Prof.ssa Montopoli.

“L’effetto combinato di questa classe di farmaci condocetaxel sembra essere rivoluzionario. Abbiamo infatti identificato un deficit metabolico nella via di produzione dell’acido retinoico nel cancro alla prostata. La combinazione di questi agonisti con docetaxel ha un effetto sinergico nell’inibizione della proliferazione tumorale” spiegano tre tra i primi autori dell’articolo. Si tratta di Manuel Colucci, ricercatore presso lo IOR, e Silvia Bressan e Federico Gianfanti, anch’essi ricercatori presso lo IOR e precedentemente studenti di dottorato presso il VIMM e l’Università di Padova.

“Inoltre, i nostri studi hanno approfondito gli effetti della combinazione di docetaxel con adapalene, un agonista dei recettori dell’acido retinoico di terza generazione. In particolare, ci siamo concentrati sulla possibilità che questi due farmaci insieme potessero stimolare il sistema immunitario a combattere il tumore. Abbiamo così dimostrato che la sinergia non solo potenzia l’effetto antitumorale di ciascun farmaco, ma attiva anche una risposta immunitaria antitumorale mediata dalle cellule NK”, aggiunge Sara Zumerle, ricercatrice del VIMM e dell’Università di Padova e vincitrice di una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi ETS per l’anno 2022, nonché tra i primi autori dell’articolo.

I ricercatori hanno svolto un ampio screening chemogenomico, ossia condotto a cavallo tra la chimica e la genomica. Hanno analizzato circa 90.000 composti, identificando tra questi gli agonisti dei recettori dell’acido retinoico, una potente classe di composti in grado di indurre senescenza, arrestando la proliferazione cellulare del tumore alla prostata. La loro combinazione con docetaxel è in grado di potenziare l’effetto antitumorale dei singoli composti. In aggiunta a questo i ricercatori hanno potuto verificare che la combinazione di adapalene con docetaxel blocca il manifestarsi della resistenza terapeutica, impedisce la formazione di metastasi, e al contempo attiva una potente risposta immunitaria antitumorale.

“La nostra scoperta apre la strada a strategie innovative in grado di potenziare le terapie esistenti”, spiega il Prof. Alimonti. “Questa combinazione potrebbe favorire una maggiore migrazione delle cellule NK anche in altri tipi di tumori, migliorando ulteriormente la loro attività antitumorale”.

Un progetto di follow-up derivante da queste scoperte è già in corso in collaborazione con l’azienda farmaceutica svizzera IBSA Institut Biochimique SA circa lo studio di questi processi in altre condizioni fisiopatologiche.

Il progetto è stato realizzato grazie anche al contributo di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e di Fondazione Umberto Veronesi ETS.