L’epilessia del lobo temporale, la più comune forma di epilessia focale adulta, potrebbe causare, nelle sue forme più gravi, la degenerazione di alcune strutture nervose implicate nei processi di apprendimento e memoria. Sono i risultati di una ricerca condotta dall’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia), che ha individuato anche i meccanismi attraverso i quali si verificano i danni neuronali. È importante ricordare che questa ricerca è stata condotta su modelli animali e riguarda una situazione sperimentale in cui la forma di epilessia studiata è particolarmente grave e non controllata da terapie.
Lo studio getta una nuova luce su un fenomeno dibattuto da molti anni: la possibile associazione tra crisi epilettiche gravi e problemi cognitivi a lungo termine. Una questione estremamente complessa in cui è stato sempre difficile valutare il rapporto di causa-effetto che potrebbe esistere, in un ristretto gruppo di pazienti, tra declino cognitivo e epilessia.
La ricerca Neuromed ha impiegato una metodica particolare, grazie alla quale è stato possibile, per la prima volta, isolare specificamente gli effetti delle scariche epilettiche sulle strutture nervose. Si è quindi visto che le crisi particolarmente gravi e molto prolungate nel tempo possono avere un effetto degenerativo sui neuroni colinergici dei nuclei del Prosencefalo Basale. Strettamente collegati con il sistema limbico, questi nuclei giocano un ruolo fondamentale nei processi legati alla memoria e alla coscienza, all’attenzione e all’orientamento di fronte a stimoli ambientali.
“Con i nostri esperimenti – dice Francesca Biagioni, prima autrice del lavoro scientifico – siamo stati in grado di isolare i danni neuronali esclusivamente dovuti allo stato epilettico che, ricordiamo, è una forma estremamente grave. E abbiamo potuto documentare la perdita di neuroni in strutture estremamente importanti del sistema nervoso centrale”.
“Naturalmente – commenta Francesco Fornai, Professore Ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento del Neuromed – si tratta di una ricerca di base, e saranno necessari molti altri studi per capire se si potrà andare verso possibili ricadute cliniche. Stiamo parlando di modelli animali, e le implicazioni per gli esseri umani sono ancora da studiare. Certamente la conoscenza più approfondita dei processi attraverso i quali si genera il danno neuronale ci apre la strada anche verso una maggiore comprensione dei meccanismi neuroprotettivi che possono entrare in gioco. In ogni caso il rischio di perdita neuronale sarebbe limitato a forme di epilessia resistenti alla terapia e che si prolungano per molte ore”