I gliomi sono tumori delle cellule della glia e sono i più frequenti in età pediatrica. I gliomi pediatrici a basso grado di malignità sono curabili con l’asportazione chirurgica e nuove terapie sperimentali.

Tuttavia, in alcuni casi l’intervento chirurgico non è sufficiente a impedire la progressione di questo tipo di tumore e finora non si conoscevano biomarker in grado di prevedere in quali pazienti questo evento potesse verificarsi.

Una nuova ricerca internazionale, coordinata da Elisabetta Ferretti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza e pubblicata sulla prestigiosa rivista “Biomarker Research”, ha fornito un contributo fondamentale in questo ambito.

“Il nostro studio – dichiara Elisabetta Ferretti – è il primo sui gliomi pediatrici di basso grado ad aver dimostrato la possibilità di individuare un biomarcatore in grado di identificare i pazienti a rischio di progressione”.

Questi tumori possono rimanere indolenti anche per decenni, oppure andare incontro a progressione. L’identificazione al momento della diagnosi del rischio di progressione è di estremo interesse clinico ed è fondamentale per prendere decisioni riguardo l’approccio medico. Infatti, permette di evitare di sottoporre i piccoli pazienti con basso rischio di progressione a terapie aggressive che possono avere conseguenze importanti a livello neurocognitivo.

Lo studio è nato da una collaborazione tra i dipartimenti di Medicina sperimentale, di Medicina molecolare e di Scienze radiologiche oncologiche e anatomo-patologiche della Sapienza e l’IRCCS Bambino Gesù, l’Ospedale universitario di Heidelberg, l’Università di Aix-Marseille, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e l’IRCCS Neuromed di Pozzilli.

“Sebbene l’utilità di questo biomarcatore necessiti di ulteriori conferme, si tratta – concludono Giuseppina Catanzaro e Zein Mersini Besharat, prime autrici dello studio e ricercatrici presso il Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza – di un punto di partenza promettente per la definizione iniziale dei pazienti e, soprattutto, riaccende le speranze della comunità scientifica di contribuire allo sviluppo di cure personalizzate nell’ambito della medicina di precisione”.