Inizia l’era dell’immuno-oncologia di precisione. Un nuovo approccio aperto dalla combinazione di due molecole immuno-oncologiche, nivolumab più ipilimumab, che, in uno studio tutto italiano, per la prima volta al mondo è stata sottoposta a valutazione agnostica, cioè indipendentemente dall’organo colpito. La metanalisi, coordinata dall’Università La Sapienza di Roma e pubblicata sul “Journal of Translational Medicine”, ha considerato 7 studi, condotti fra il 2010 e il 2020, su più di 2.420 pazienti colpiti da melanoma, tumore del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule, della vescica, gastrico, sarcoma, mesotelioma. La combinazione di nivolumab e ipilimumab ha dimostrato un’efficacia agnostica, cioè trasversale e al di là del tipo di cancro. In particolare ha incrementato le risposte del 68% e ha ridotto il rischio di progressione della malattia del 20% e di morte del 13% rispetto alla monoterapia con solo nivolumab. Singoli studi hanno inoltre evidenziato che, grazie alla combinazione di nivolumab e ipilimumab, è possibile ottenere una sopravvivenza a lungo termine in diversi tipi di tumore particolarmente difficili da trattare in fase avanzata, come quelli del polmone, del rene, il melanoma e il mesotelioma. I risultati della metanalisi sono presentati oggi in un media tutorial virtuale promosso da Bristol Myers Squibb.

“L’effetto sinergico delle due molecole non è meramente additivo, ma consente una notevole amplificazione delle risposte, migliorandone la velocità, l’entità e la durata – spiega Paolo Marchetti, Direttore Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma, Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza e prima firma della metanalisi -. Così è possibile ottenere un controllo dei sintomi più consistente e rapido. Nivolumab più ipilimumab è il primo esempio di combinazione di molecole che agiscono in modo complementare sul sistema immunitario e che permettono di raggiungere risultati clinici importanti. Questo approccio basato sui meccanismi di risposta e resistenza rappresenta un primo passo verso l’immuno-oncologia di precisione, superando il modello della medicina basata sulla stratificazione dei pazienti in base a fattori predittivi di risposta. Quest’ultimo modello è volto a ridurre il numero di pazienti da trattare per ottenere un vantaggio clinicamente rilevante, mentre il modello agnostico consente di ampliare il numero di pazienti che possono trarre vantaggio da una specifica modalità terapeutica”.

Ad oggi la combinazione nivolumab – ipilimumab ha dimostrato e sta dimostrando efficacia in diversi tipi di tumori e ha ricevuto l’approvazione europea nel trattamento in prima linea del melanoma avanzato, nel trattamento in prima linea del carcinoma a cellule renali avanzato a rischio intermedio/sfavorevole e, in associazione con due cicli di chemioterapia a base di platino, nel trattamento in prima linea del tumore del polmone non a piccole cellule metastatico senza mutazione EGFR e ALK. “È necessario – continua il Prof. Marchetti – che la combinazione sia rimborsata anche in Italia, come in altri Paesi europei, per offrire soprattutto a questi pazienti un’efficace alternativa terapeutica”.

Per i pazienti colpiti dalla forma più comune di cancro del polmone, quella non a piccole cellule, la combinazione di nivolumab e ipilimumab associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei classici 4-6, ha evidenziato un netto vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia. Lo dimostra lo studio di fase 3 CheckMate -9LA su più di 700 pazienti, che ha condotto all’approvazione di questo regime terapeutico in Europa lo scorso novembre. “Il tumore del polmone è particolarmente difficile da trattare, perché circa il 70% dei casi è scoperto in fase avanzata – afferma Carmine Pinto, Direttore Oncologia Medica Clinical Cancer Center IRCCS AUSL di Reggio Emilia -. La duplice terapia immuno-oncologica, costituita da nivolumab più ipilimumab, in associazione con due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico, ha ridotto il rischio di morte del 31% rispetto alla sola chemioterapia. E la sopravvivenza a un anno ha raggiunto il 63% rispetto al 47% con la sola chemioterapia. L’ulteriore vantaggio di questo schema terapeutico è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia. Quest’ultima fa ancora paura, anche se è più ‘dolce’ rispetto al passato e riusciamo a controllare meglio gli effetti collaterali. Nello studio CheckMate -9LA, sono stati somministrati solo due cicli di chemioterapia, che equivalgono a 21 giorni di trattamento, perché la distanza fra i cicli è di tre settimane. Così vengono ridotti sia i tempi che le tossicità della chemioterapia, con notevoli vantaggi psicologici per il paziente”.

Anche una percentuale importante dei casi di tumore del rene è scoperta in fase avanzata o metastatica. “Soltanto il 30% dei pazienti guarisce grazie all’intervento – sottolinea Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e, in un terzo, la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Fino a 5 anni fa, solo poco più del 10% dei pazienti con tumore del rene avanzato era vivo a un quinquennio dalla diagnosi. Oggi invece, grazie alla combinazione di molecole immuno-oncologiche, più della metà è vivo a 4 anni. CheckMate -214 è uno studio di fase 3, randomizzato, che ha valutato, in prima linea, la combinazione di nivolumab e ipilimumab rispetto allo standard di cura costituito da sunitinib, su oltre 1.000 pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato, la forma più frequente di tumore del rene. In tutti i pazienti randomizzati, i tassi di sopravvivenza globale a quattro anni erano pari al 53,4% con nivolumab e ipilimumab rispetto al 43,3% con sunitinib”. Sulla base di questi risultati, la combinazione è stata approvata dall’agenzia regolatoria europea a gennaio 2019 nel trattamento in prima linea di pazienti adulti con carcinoma a cellule renali avanzato a rischio intermedio/sfavorevole.

Gli studi sulle combinazioni sono partiti dal melanoma. “In un anno i nuovi casi di questo tumore della pelle, in Italia, sono aumentati del 20%, da 12.300 nel 2019 a quasi 14.900 nel 2020 – spiega Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto ‘Pascale’ di Napoli -. Nessun’altra neoplasia ha fatto registrare un incremento così elevato negli ultimi 12 mesi. Se individuato precocemente ed eliminato con una corretta asportazione chirurgica durante la fase iniziale, il melanoma è del tutto guaribile. Purtroppo una parte delle diagnosi avviene già in fase avanzata o evolve in questo stadio progressivamente. A maggio 2016, EMA ha approvato la combinazione di nivolumab più ipilimumab per il trattamento in prima linea del melanoma avanzato (non resecabile o metastatico). Questa approvazione è scaturita dai risultati dello studio internazionale di fase III, CheckMate -067, che ha coinvolto 945 pazienti: la combinazione ha mostrato una sopravvivenza a 5 anni del 52%. Un risultato davvero eccezionale, se si considera che, prima dell’introduzione dell’immuno-oncologia, questa percentuale non superava il 5%”. “A livello internazionale la combinazione di nivolumab più ipilimumab è ritenuta la prima opzione di trattamento per le persone con metastasi cerebrali asintomatiche, indipendentemente dallo stato mutazionale del gene BRAF – continua il Prof. Ascierto -. In Italia, al momento, la combinazione non è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale e solo la Regione Campania, con una scelta di civiltà, ha deciso di garantirne la rimborsabilità per tutti i pazienti colpiti da melanoma con metastasi cerebrali”.

Anche nel mesotelioma, un tumore raro con un fortissimo legame all’esposizione professionale alle fibre di asbesto, la combinazione di molecole immuno-oncologiche ha evidenziato risultati importanti. “Per la prima volta in 30 anni – afferma il Prof. Pinto -, la ricerca sta portando al superamento dell’approccio standard di prima linea rappresentato per decenni dalla chemioterapia, che finora ha offerto poche speranze nell’aumentare la sopravvivenza. Nello studio di fase III CheckMate -743 che ha coinvolto 605 pazienti, a un follow up minimo di 22 mesi, il trattamento con nivolumab e ipilimumab ha ridotto il rischio di morte del 26%, dimostrando una sopravvivenza globale mediana di 18,1 mesi rispetto a 14,1 mesi con la chemioterapia”.

“Gli studi internazionali di fase 3 che hanno analizzato nivolumab più ipilimumab nel tumore del polmone non a piccole cellule, nel carcinoma a cellule renali, nel melanoma e nel mesotelioma hanno mostrato il consistente miglioramento della sopravvivenza rispetto agli standard di cura – conclude il Prof. Marchetti -. I risultati della metanalisi e di questi studi forniscono un’ulteriore evidenza del valore della doppia inibizione di checkpoint immunitari nel trattamento di neoplasie in stadio avanzato. La pandemia ha sottolineato l’urgenza di rendere subito disponibili le terapie innovative. Anche il cancro non può aspettare. Stiamo già osservando diagnosi di tumore in fase più avanzata rispetto al periodo pre-Covid, come conseguenza dell’interruzione degli screening e della mancata adesione alle terapie. Serve un cambio di passo anche in Italia nelle procedure di approvazione dei nuovi trattamenti in grado di cambiare le aspettative di sopravvivenza a lungo termine”.