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Tumore dell’ovaio: “Bioinformatica arma strategica per aumentare la sopravvivenza”

Cresce in Italia il numero di donne che ogni anno sono colpite da tumore dell’ovaio. Per il 2018 sono attesi 5.200 nuovi casi e si registra un aumento del 7% dal 2013 ad oggi. Si tratta di una malattia insidiosa anche perché otto volte su dieci viene diagnosticata in fase avanzata. Negli ultimi anni ci sono state novità terapeutiche, guidate da analisi molecolari, che ci fanno sperare in un aumento significativo della sopravvivenza delle pazienti affette da questa malattia. Le indagini molecolari si avvalgono di tecnologie sempre più avanzate bioinformatiche complesse. Le ultime novità di questa branca della scienza, e le sue applicazioni nella pratica clinica oncologica, sono state presentate a Milano durante il convegno “NGS to NGO: Next Generation Sequencing to Next Generation Oncologists”. L’evento si è svolto all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ed è supportato da TESARO BIO Italy, un’azienda biofarmaceutica focalizzata in oncologia. Partecipano oltre 50 specialisti da tutta la Penisola. “Il carcinoma ovarico rappresenta un caso esemplare dei risultati positivi che siamo riusciti ad ottenere grazie ad un’analisi sempre più approfondita del genoma umano – afferma il prof. Maurizio D’Incalci, capo del Dipartimento di Oncologia del “Mario Negri’ e responsabile scientifico del convegno di Milano -. Le più recenti conoscenze biologiche sono spesso alla base dei cambiamenti diagnostici e di conseguenza anche di quelli terapeutici. In particolare il tumore presenta un elevato bisogno medico insoddisfatto, specialmente nelle donne prive di mutazione BRCA, che costituiscono la maggioranza dei casi e sono caratterizzate dalla peggior prognosi. Di questa neoplasia abbiamo oggi a disposizione molti dati sulla mutazione BRCA che può determinare una maggiore sensibilità ad alcuni farmaci. E’ questo il caso degli inibitori di PARP, farmaci innovativi che sono particolarmente attivi contro tumori che hanno dei difetti di riparazione del DNA come quelli dell’ovaio”. “E’ necessario un maggiore lavoro di squadra fra medici oncologi, biologi, bioinformatici e farmacologi – aggiunge il prof. Andrea Sartore Bianchi, Responsabile dell’Oncologia Clinica Molecolare dell’Ospedale Niguarda di Milano -. La mole montante di informazioni che raccogliamo dal laboratorio si affaccia ad entrare sempre più nella pratica clinica quotidiana. Districarsi in questo campo per gli oncologi non è sempre semplice anche perché non tutte le alterazioni molecolari che riscontriamo del tumore presentano un reale significato terapeutico. Servono quindi analisi molto complesse e approfondite che sono rese possibili da tecnologie sofisticate e in continua evoluzione. Quindi serve un aggiornamento costante delle competenze dei singoli specialisti”.
Al convengo di Milano ampio spazio è riservato anche ad altre due neoplasie rilevanti come quelle del tumore del colon-retto e del polmone. “Sono patologie oncologiche molto diffuse e che colpiscono complessivamente ogni anno oltre 92 mila italiani. Sono fortemente influenzate da stili di vita scorretti come dieta squilibrata e fumo di sigaretta – aggiunge il prof. Sartore Bianchi -. Nel carcinoma polmonare, la caratterizzazione del profilo molecolare della neoplasia è ormai imprescindibile per programmare la scelta del trattamento. In particolare, negli ultimi anni sono state identificate diverse alterazioni dei geni del tumore alle quali può conseguire una terapia con specifici inibitori, anche in sequenza. Inoltre possiamo oggi ricorrere alla biopsia liquida. Consiste in un semplice prelievo del sangue che può in parte sostituire l’analisi dei tessuti tumorali. Il test è attualmente utilizzato per identificare mutazioni del gene EGFR sia prima che durante il corso di una determinata cura. Nel carcinoma del colon-retto i bersagli molecolari risultano più limitati e la scelta terapeutica si basa prevalentemente sull’esclusione di alcune alterazioni che predicono la resistenza alle cure. Fra i bersagli molecolari emergenti invece si segnala l’amplificazione del gene HER 2 oppure la presenza di rare fusioni geniche che si trovano in una piccola percentuale di pazienti. Per questa forma di cancro infine l’uso della biopsia liquida è da ritenersi sperimentale e serviranno nuovi e approfonditi studi per verificarne l’efficacia in termini terapeutici”. “Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un grande sviluppo tecnologico del sequenziamento del DNA – conclude il prof. D’Incalci -. Uno degli ultimi sistemi messi a punto è il Next Generation Sequencing (o NGS) e viene già utilizzato da alcuni anni in molti laboratori italiani. L’aspetto più interessante è che attraverso il suo uso in tempi molto brevi si riesce ad avere tanti dati sull’intero genoma e le sue varie alterazioni. Otteniamo così molte preziose informazioni che vanno però correttamente elaborate e interpretate. Risulta così fondamentale il ruolo che ricoprono i bioinformatici in questo lavoro. Dal canto loro invece gli oncologi devono meglio comprendere le enormi potenzialità di queste tecnologie. Ma anche accettare i limiti oggettivi che possiedono. La maggiore conoscenza biomolecolare del cancro comporta grandi vantaggi sia per il paziente che per il clinico. Questi nuovi strumenti devono essere visti e utilizzati con uno spirito critico da parte dei medici e non rappresentano la panacea contro le patologie oncologiche”.

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