Trapianto di midollo nei bambini: il microbiota predice il futuro
Esistono batteri “buoni” e possono essere grandi alleati dei piccoli pazienti pediatrici in cura per patologie ematologiche che vengono sottoposti a un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Lo dice uno studio pubblicato su “Blood”, la più prestigiosa rivista di ematologia, che nasce da una collaborazione tra il gruppo della Microbiomics Unit dell’Università di Bologna e l’Oncoematologia pediatrica dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola.
Si tratta dell’indagine con il più alto numero al mondo di pazienti pediatrici di cui è stata studiata la diversità del microbiota durante il trapianto. I risultati mostrano che i bambini con un microbiota più sano prima del trapianto hanno circa il 25% in più di probabilità di sopravvivenza nei successivi 4 anni.
Lo studio ha coinvolto 90 bambini che hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali ematopoietiche, in quattro centri italiani e uno in Polonia. A circa quattro anni dal trapianto, è sopravvissuto l’88,9% dei bambini che avevano una maggiore diversità nel microbiota intestinale a fronte del 62,7% di quanti avevano un microbiota meno ricco. I bambini con una flora intestinale più sana, inoltre, avevano minore probabilità di sviluppare una reazione immunitaria in cui le cellule trapiantate aggrediscono i tessuti della persona che le riceve, chiamata “malattia del trapianto contro l’ospite”.
“Abbiamo provato che la diversità del microbiota intestinale prima del trapianto di cellule staminali predice la sopravvivenza”, spiega Riccardo Masetti, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “Esiste una capacità di particolari batteri intestinali di modulare il sistema immunitario in senso favorevole e questo costituisce una variabile importantissima quando un sistema immunitario completamente nuovo viene trasferito nei piccoli pazienti. Grazie allo studio della composizione e della diversità del microbiota dei bambini possiamo ‘predire’ lo sviluppo di eventuali complicanze che incidono sull’esito del trapianto”.
Sono diverse quelle che si possono verificare: dalle infezioni alla tossicità dei farmaci utilizzati per la preparazione al trapianto. Una delle più temibili è una complicanza immunomediata chiamata “malattia da trapianto verso l’ospite”, che nelle forme più gravi può rappresentare una seria minaccia per la vita.
I pazienti con un microbiota ricco e con maggiore abbondanza di batteri buoni hanno una più bassa probabilità di sviluppare queste complicanze. Mentre se la diversità e ricchezza “eubiotica” si perde, ad esempio in seguito a trattamenti chemioterapici o ad una esposizione antibiotica protratta, la probabilità di complicanze aumenta.
“I risultati di questi studi aprono nuove e importantissime prospettive, come quelle relative alla modulazione della composizione batterica intestinale”, spiega Masetti. “È una bella soddisfazione, considerando anche che il nostro è un impegno che nasce da lontano. Sulla base delle evidenze già provate sugli adulti, nel 2015 abbiamo cominciato a caratterizzare il microbiota dei bambini sottoposti a trapianto producendo i primi dati di letteratura su questo argomento”.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Blood” con il titolo “Gut microbiota diversity before allogeneic hematopoietic stem cell transplantation as predictor of mortality in children”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Riccardo Masetti, Federica D’Amico e Patrizia Brigidi, con Marco Fabbrini, Marco Candela e Silvia Turroni.