Pubblicato su “American Journal of Transplantation” lo studio frutto di una collaborazione tra l’Istituto Mario Negri, l’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo, il Policlinico di Padova e l’Ospedale di Verona.
Il trapianto è la cura più efficace per le malattie renali, di quelle gravi, che compromettono la funzione dei reni e portano alla dialisi. Col trapianto la qualità di vita è di gran lunga migliore che con la dialisi. Pochi però, solo 4 su 10 di quelli che potrebbero avere un trapianto ci arrivano. Non ci sono abbastanza donatori.
Un modo per aumentare il numero di trapianti è quello di utilizzare reni di persone anziane – che una volta si scartavano – ed eventualmente trapiantare due reni, invece che uno, nello stesso ricevente. Questa attività è stata introdotta in Italia dai ricercatori del Mario Negri che da anni collaborano coi chirurghi e i nefrologi dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Le percentuali di successo sono paragonabili a quelle dei trapianti da donatori giovani purché prima del trapianto si studi il tessuto renale al microscopio per decidere che tipo di intervento fare. Attraverso una biopsia renale si preleva un frammento di rene e lo si studia al microscopio. Se la struttura del rene è ben conservata basta trapiantare un rene solo, se la struttura dei reni è compromessa, ma non troppo, se ne trapiantano due che fanno benissimo il lavoro di un rene solo ideale.
Lo studio del Mario Negri appena pubblicato su American Journal of Transplantation, la rivista più accreditata al mondo nella medicina del trapianto, a cui hanno contribuito i Centri Trapianto degli Ospedali di Bergamo, di Padova e di Verona, è stato condotto su 235 pazienti e ha dimostrato che si possono impiegare anche reni di donatori molto anziani, che avevano 80 anni e anche di più. Anche in questo caso serve fare una biopsia prima del trapianto e con questa tecnica si decide sul tipo di intervento in base alla qualità del tessuto renale.
Questo studio è un passo avanti e segue altri studi del Mario Negri che coinvolgevano donatori di 60 e 70 anni. “Il nuovo studio – spiega Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche dell’Istituto Mario Negri di Bergamo – dimostra che gli organi di pazienti ottuagenari hanno una sopravvivenza simile a quella del singolo organo di donatori di 60 anni o più giovani, selezionati e distribuiti secondo criteri clinici standard, e possono quindi essere utilizzati per aumentare il numero di organi disponibili fino al 20%”.
“Abbiamo calcolato – dice Piero Ruggenenti, l’investigatore principale dello studio, che ha visto impegnati Cristina Silvestre, Luigino Boschiero, Giovanni Rota, Lucrezia Furian, Annalisa Perna, Giuseppe Rossini, Paolo Rigotti – che il nostro programma di trapianto di reni da donatori ottuagenari ha contribuito a ridurre il tempo in cui un ammalato rimane in dialisi e a ridurre le liste d’attesa. Chi accetta il trapianto di due reni non perfetti aspetta in media meno di un anno. Infine, con il trapianto gli ammalati vivono meglio che in dialisi e i costi per il Servizio Sanitario Nazionale si riducono notevolmente”.
Questi dati confermano che non c’è un limite di età per donare un rene. Molto spesso si tratta di trapiantare nello stesso ricevente due organi che non sarebbero adatti al trapianto singolo e verrebbero scartati. “Questa procedura – spiega Remuzzi – ormai diffusa in Italia e che si sta diffondendo anche in Europa, ha difficoltà a imporsi negli Stati Uniti, perché gli aspetti organizzativi che comporta richiedono un’attenzione e una disponibilità da parte di molti professionisti con competenze diverse che negli USA è difficile trovare tutte insieme nello stesso Ospedale”.