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Terapia genica: nuove speranze per una malattia genetica rara scoperta da pochi anni

È il 2014 quando per la prima volta il deficit di adenosina deaminasi di tipo 2, più comunemente conosciuta come DADA2 , viene descritto sulla prestigiosa rivista scientifica “New England Journal of Medicine”. Si tratta di una rara malattia genetica, causata da un deficit di un enzima essenziale per il corretto sviluppo del sistema immunitario.

In soli 3 anni dalla prima descrizione, la malattia viene diagnosticata a 71 pazienti, l’anno successivo ancora a oltre 350. Secondo gli ultimi studi, oggi DADA2 avrebbe una prevalenza di 1 caso ogni 220mila individui.

“Sebbene i meccanismi alla base della malattia sia ancora oggi in parte sconosciuti e le manifestazioni cliniche possono variare notevolmente, la scoperta del gene responsabile di DADA2 ha avuto conseguenze importanti: da una parte ha permesso di dare una diagnosi a chi per anni ha convissuto con questa malattia, e dall’altra di sviluppare nuove possibilità di trattamento”, spiega Alessandra Mortellaro, ricercatrice che da anni si occupa di questa malattia al San Raffaele Telethon Institute for Gene Therapy di Milano e che fa parte del comitato scientifico di DADA2 Foundation, l’associazione internazionale nata dopo la scoperta della malattia.

Come specificato prima, DADA2 è una malattia genetica causata dallamancanza del gene ADA2. La trasmissione di questa malattia è di tipo autosomico recessivo, ossia per manifestare i sintomi un individuo deve ereditare da entrambi i genitori una copia del gene difettoso.

Chi ne soffre sviluppa i sintomi generalmente già nei primi anni di vita, anche se talvolta l’evoluzione è più lenta. Tra i sintomi possono esserci: eruzioni cutanee; vasculiti; febbre e anemia; ictus ricorrenti; infiammazione sistemica; immunodeficienza; difetti ematologici.

Oggi l’unica cura definitiva è rappresentata dal trapianto di cellule staminali ematopoietiche che, nei casi più gravi, consente di ripristinare un sistema immunitario funzionante e di migliorare la maggior parte dei sintomi. 

Si tratta però di un trattamento disponibile per pochi pazienti perché limitato dalla disponibilità di un donatore compatibile, oltre a essere associato a un’alta probabilità di complicanze.

“Ecco perché nel nostro istituto stiamo studiando come applicare la terapia genica, che si è rivelata vincente per altre immunodeficienze come ADA-Scid e la sindrome di Wiskott-Aldrich, anche a DADA2. Se correggiamo il difetto genico direttamente nelle cellule staminali dei pazienti potremo in futuro evitare di andare incontro ai problemi correlati al trapianto da donatore”, specifica Mortellaro, responsabile dell’Unità di Meccanismi di Infiammazione in salute e malattia di SR-Tiget.

Un primo incoraggiante avanzamento della terapia genica per DADA2 emerge proprio da uno studio pubblicato recentemente su “Blood Advances’ dal gruppo di Alessandra Mortellaro.

L’idea alla base è simile a quella utilizzata per altre malattie genetiche rare: correggere le cellule staminali ematopoietiche prelevate dal paziente stesso tramite un vettore lentivirale, derivato dal virus dell’HIV, contenente una copia funzionante del gene per l’adenosina deaminasi di tipo 2.

“Il nostro vettore si è dimostrato in grado di trasferire in modo efficiente il gene terapeutico in cellule staminali ematopoietiche, che hanno iniziato così a produrre l’enzima carente – racconta la ricercatrice -. Inoltre, la correzione genica ha dimostrato di avere un effetto positivo anche sui macrofagi, specifiche cellule del sistema immunitario: questi, infatti, non attivano più quella tempesta citochinica che dà luogo allo stato di infiammazione cronica tipica di DADA2 e che porta, per esempio, allo sviluppo di vasculiti e dolore generalizzato”.

Sebbene si tratti di risultati strettamente preclinici e la strada sia ancora lunga le ricerche di Alessandra Mortellaro e del suo team fanno ben sperare. 

“E’ importante, tuttavia, che parallelamente agli sforzi per conoscere meglio i meccanismi biologici e mettere a punto trattamenti efficaci, aumenti anche la consapevolezza tra i clinici: una diagnosi tempestiva è fondamentale per gestire al meglio i sintomi in attesa che la ricerca offra soluzioni più efficaci e durature”, conclude Mortellaro.

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