Simulazioni biomolecolari e urgent computing: la sfida italiana al COVID 19
Bloccare il virus prima che riesca a penetrare nelle cellule neutralizzando il suo cavallo di Troia. È questa la sfida lanciata al COVID-19 da Sibylla Biotech, spin-off dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e delle Università di Trento e Perugia, che sta lavorando all’identificazione di una terapia anti COVID-19 con una tecnologia unica che studia il comportamento delle proteine in un modo completamente nuovo e in tempi rapidi.
Poiché, per riuscire a contrastare in modo efficace la diffusione del virus, agire tempestivamente è determinante, l’INFN ha deciso di dedicare una quota significativa delle sue risorse di calcolo per aiutare Sibylla Biotech. L’ente ha così coinvolto in questa sfida i data center dedicati solitamente all’analisi dei dati degli esperimenti di LHC e il proprio centro di calcolo nazionale, il CNAF di Bologna, che da solo conta oltre la metà della potenza computazionale a disposizione di INFN.
Dalla fine di marzo circa 30.000 unità di calcolo stanno lavorando in parallelo in 8 data center dell’INFN processando le simulazioni alla base del protocollo innovativo di ricerca farmacologica PPI-FIT descritto pochi giorni fa su un articolo depositato sul server internazionale BioRxiv. Questo protocollo si fonda su una piattaforma di calcolo unica che permette di simulare al calcolatore i percorsi di ripiegamento di proteine di rilevanza biologica, con un livello di precisione atomico, con l’obiettivo di progettare nuovi farmaci in grado di agire contro una vasta gamma di bersagli. Elemento cruciale di questo nuovo approccio è l’impiego di un metodo di calcolo che si basa su metodi matematici di fisica teorica che sono stati originariamente sviluppati per studiare fenomeni tipici del mondo subatomico, come l’effetto tunnel quantistico. La tecnologia è stata inventata dai soci fondatori di Sibylla Biotech nell’ambito di una ricerca accademica sulla replicazione dei prioni e l’individuazione di strategie farmacologiche contro questi agenti infettivi supportata da INFN, Fondazione Telethon, Università di Trento e Università di Perugia.
L’obiettivo oggi è identificare molecole che possano interferire con il processo di replicazione del virus SARS-COV2, per rallentare la sua diffusione in attesa della produzione di un vaccino. In particolare, Sibylla Biotech si sta concentrando sulla proteina ACE2, il recettore cellulare che si trova soprattutto nelle cellule umane dell’endotelio polmonare e in altri tessuti come nel cuore e nell’intestino, al quale si lega la proteina virale Spike presente sulla superficie del virus. ACE2 si comporta quindi da cavallo di Troia, permettendo al virus di penetrare nella cellula e iniziare il suo processo di replicazione. Applicando il protocollo PPI-FIT, sarà possibile effettuare la ricerca di molecole capaci di diminuire i livelli del recettore, inibendo quindi l’entrata del virus.
“Appena ci è stato chiaro l’inizio dell’emergenza sanitaria e i meccanismi legati alla replicazione del virus, ovvero a fine febbraio, abbiamo subito deciso di rivolgere i nostri sforzi allo studio del percorso di ripiegamento di ACE2, dedicando allo scopo la totalità delle risorse umane e computazionali del team di ricerca”, commenta Lidia Pieri, amministratore delegato di Sibylla Biotech. “Abbiamo collezionato risultati preliminari che indicavano la presenza di un intermedio di folding. Per le caratteristiche della proteina ACE2 avremmo però impiegato alcuni mesi per completare la simulazione con le nostre sole risorse computazionali. Con le risorse messe prontamente a disposizione dall’INFN è invece possibile ipotizzare di ottenere gli stessi risultati in poche settimane, rispondendo in maniera efficace all’emergenza” prosegue Pieri. “Questi risultati saranno resi noti alla comunità scientifica internazionale affinché possano essere utilizzati subito da chiunque abbia i mezzi per farlo, sia in ambito accademico che industriale”.
“Abbiamo messo a disposizione di Sibylla Biotech tutta la nostra esperienza nel gestire grandi potenze di calcolo e complessi codici numerici sia di simulazione sia di analisi dati, quella, per intenderci, che ci ha permesso di scoprire nel 2012 il Bosone di Higgs” commenta Gaetano Maron, direttore del CNAF. “Con grande rapidità abbiamo “distratto” circa 30.000 unità di calcolo dall’analisi dati degli esperimenti di LHC riorientandole verso le simulazioni della proteina ACE2. È un esempio di quello che oggi è chiamato “Urgent Computing”, la possibilità di orientare in brevissimo tempo la potenza di calcolo di un sistema a un singolo scopo, applicato qui d un caso reale di emergenza planetaria” chiude Maron.