Scoperto uno dei misteri dell’ipertensione resistente
Emergenze ipertensive per emorragie cerebrali, infarti ed edemi polmonari sono riapparsi in tutta la loro gravità: la pandemia COVID e la conseguente riduzione delle visite specialistiche hanno infatti accentuato un problema noto da molti anni. Una quota assai rilevante, variabile tra il 20 e il 40% a seconda dei Paesi, dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa non raggiunge il target pressorio, ovvero valori di pressione minori di 130/80 mmHg, nonostante l’assunzione di più farmaci anti-ipertensivi. Questi pazienti sono adaltissimo rischio di eventi cardio e cerebrovascolari imminenti, non solo per i valori pressori incontrollati, ma anche perché hanno già sviluppato un danno agli organi “bersaglio”, quali rene, cuore, arterie e cervello. Lo studio internazionale pubblicato sulla rivista «European Journal of Preventive Cardiology» dal titolo “Drug-resistant hypertension in primary aldosteronism patients undergoing adrenal veinsampling: the AVIS-2-RH study” coordinato dal Prof. Gian Paolo Rossi del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e che ha coinvolto un’ampia popolazione di pazienti reclutati in 19 centri di eccellenza per la cura dell’ipertensione arteriosa dislocati in quattro continenti ha mostrato che l’ipertensione resistente al trattamento farmacologico è particolarmente frequente nei pazienti affetti da aldosteronismo primario, una forma di ipertensione arteriosa causata da un’eccessiva produzione di aldosterone da parte delle ghiandole surrenaliche. Si tratta di una forma assai comune che generalmente non viene riconosciuta perché mima l’ipertensione essenziale, ma, a differenza di questa, può essere guarita in modo definitivo attraverso la rimozione chirurgica del surrene “colpevole”.
«Lo studio – dice il Professor Gian Paolo Rossi – ha fatto una scoperta ancora più importante: in un’alta percentuale di tali pazienti, l’eliminazione chirurgica del surrene dove si era sviluppato il piccolo tumore che produceva troppo aldosterone, e che quindi causava l’aldosteronismo primario, ha portato a risolvere l’ipertensione resistente».
In uno studio pubblicato pochi mesi prima gli stessi ricercatori avevano dimostrato come anche nei pazienti con ipertensione resistente, nonostante la possibile interferenza con la diagnosi della politerapia farmacologcia, fosse possibile identificare l’aldosteronismo primario con il cateterismo delle vene surrenaliche, una procedura nella quale l’Università di Padova è il leader mondiale. In quest’altro studio condotto su pazienti con ipertensione resistente tutti coloro tutti nei quali era stato scoperto un aldosteronismo primario erano guariti da questa grave condizione con la rimozione chirurgica del surrene malato portava alla cura dell’ipertensione resistente. I surreni sono due piccole ghiandole poste sopra il rene che svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa, del metabolismo e della risposta allo stress. Anche la rimozione di una sola ghiandola, quella responsabile dell’aldosteronismo e della resistanza dell’ipertensione alla terapia, consente una vita normale.
«Questi risultati – conclude Gian Paolo Rossi – suggeriscono come per i pazienti con ipertensione resistente ai farmaci sia necessario ricorrere alle cure dei centri specializzati in grado di diagnosticare e trattare l’aldosteronismo primario prima che sia troppo tardi».