Un gruppo di ricercatori diretto dal prof. Marco Sandri, docente del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e Principal Investigatordell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare ha identificato e caratterizzato unnuovo gene che controlla l’invecchiamento cellulare e la longevità.
L’identificazione di questo nuovo gene, condotto in collaborazione con la prof.ssa Eva Trevisson, genetista del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova, è frutto di un lavoro di nove anni che ha visto coinvolti diversi ricercatori di fama internazionale appartenenti aprestigiosi istituti di ricerca nazionali ed internazionali, ed è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista medica di ricerca traslazionale “Journal of Clinical Investigation”. Lo studio è stato in parte finanziato da una azione del PNRR nel partenariato sull’invecchiamento, chiamato AGE-IT “AgeingWell in an Ageing Society”, che ha permesso la creazione di una rete nazionale di ricercatori che studiano questo processo biologico.
«Tutto è cominciato con una ricerca informatica per identificare nel genoma umano potenziali geni, ancora sconosciuti, che potessero avere una rilevanza nei meccanismi che controllano la qualità delle proteine e degli organelli – commenta Anais Franco Romero che, insieme a Valeria Morbidoni, è stata coautrice principale del lavoro di ricerca -. Tra i diversi candidati, il team si è focalizzato su un gene che spiccava per essere estremamente conservato tra le diverse specie animali, dall’uomo fino ai vermi, denominato Mytho».
Attraverso esperimenti di manipolazione genetica, il gruppo ha dimostrato che la sua inibizione provoca una precoce senescenza cellulare ed un accorciamento della vita nel Caenorhabditis Elegans, mentre la sua attivazione migliora la qualità della vita e permette di mantenere un invecchiamento in salute.
Lo studio ha anche caratterizzato i meccanismi molecolari e scoperto che questo gene regola il sistema, chiamato autofagia, che permette la rimozione di proteine ed organelli danneggiati migliorando l’omeostasi cellulare.
«Dopo anni di studi siamo arrivati a conoscere qualcosa del nostro genoma, ma la funzione della maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota – sottolinea il prof.Marco Sandri – Un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5.000 su un totale di 20.000 sono completamente sconosciuti. Per questo, negli ultimi anni abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questo sconosciuto mondo del nostro DNA».