Esiste una “terra di mezzo” tra l’essere in salute e la patologia diabetica conclamata, in cui la glicemia inizia ad alzarsi ma si sta ancora apparentemente bene. Apparentemente, perché questa condizione, nota come prediabete o intolleranza glucidica, in realtà può già iniziare a essere dannosa per l’organismo. Oggi, per la prima volta, uno studio ne descrive i meccanismi molecolari sottostanti e identifica un nuovo marcatore che, rilevando la progressione del danno da prediabete, aiuta a predire più efficacemente il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.
Il lavoro, appena pubblicato sulla rivista “Cardiovascular Diabetology”, è stato condotto dall’IRCCS MultiMedica nell’ambito del progetto di ricerca DIAPASON, che ha visto la collaborazione tra i medici di famiglia della ATS Milano Città Metropolitana, l’Università degli Studi “La Statale” di Milano, la Regione Lombardia e il Ministero della Salute con il sostegno della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi.
L’équipe di ricerca ha sottoposto a screening una popolazione di 1.506 persone, valutandone il rischio di andare incontro a diabete. Tra questi, 531 pazienti, risultavano avere un rischio altissimo e sono stati reclutati per lo studio. Poiché in precedenti analisi dello stesso gruppo di ricerca era stata osservata un’associazione tra glicemia alta e una piccola molecola di RNA, il miR-21, i ricercatori sono andati a misurare proprio la concentrazione di questa molecola. A un sottogruppo di 207 pazienti, che presentavano livelli particolarmente allarmanti di glicemia, è stato poi proposto un programma di “habit-intervention”, un cambiamento dello stile di vita basato sulla “dieta mediterranea”.
“Dopo un anno, nell’84% del campione che aveva seguito il nuovo regime alimentare, abbiamo rilevato non solo perdita di peso, diminuzione dell’indice di massa corporea e miglioramento dei parametri cardiometabolici, con riduzione della glicemia, come era facile prevedere, ma soprattutto una riduzione del miR-21, il che ci ha confermato la relazione tra questa molecola e i valori di glucosio nel sangue”, spiega Lucia La Sala, ricercatrice dell’IRCCS MultiMedica e firmataria dello studio. “Il dosaggio del miR-21, associato alla glicemia, può quindi diventare un nuovo importante indicatore di prediabete e del rischio di andare incontro a diabete conclamato. Ma c’è di più. All’aumentare della glicemia, si sviluppa anche stress ossidativo, causa di danno vascolare, alimentato dallo stesso miR-21 che inibisce la capacità antiossidante delle cellule. Dopo l’intervento sullo stile di vita, abbiamo osservato una significativa riduzione di questo danno che, essendo nell’ambito di valori del prediabete, è ancora reversibile. Un simile risultato ci permette di affermare che il miR-21 è anche un marcatore molecolare affidabile delle reazioni dannose innescate dall’iperglicemia e della loro eventuale regressione”.
“Disporre di un ulteriore indicatore che, insieme a glicemia ed emoglobina glicata, ci aiuti a rintracciare il prediabete è di cruciale importanza, se pensiamo che oggi in Italia sono circa dieci milioni le persone interessate da questa condizione”, commenta Livio Luzi Direttore del Dipartimento interpresidio di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche di MultiMedica, Ordinario di Endocrinologia presso l’Università degli Studi “La Statale” di Milano, tra gli autori dello studio. “Condizione su cui occorre agire prima possibile, per scongiurare che queste persone sviluppino diabete, patologia purtroppo dalle gravi complicanze cardiovascolari e su altri organi, che impattano pesantemente sul Servizio Sanitario Nazionale. L’informazione contenuta nel miR-21 è preziosa proprio perché ci dice su quali pazienti l’iperglicemia sta iniziando a produrre danni, ancora reversibili, e su quali è quindi prioritario intervenire”.
“Grazie al finanziamento europeo dell’EFSD – conclude La Sala, titolare del finanziamento – stiamo già attuando altre analisi per comprendere se il miR-21 e altre molecole, oltre ad associarsi a iperglicemia e ad avere un valore predittivo, giochino anche un ruolo causale nello sviluppo del diabete. Se così fosse, questa molecola potrebbe aprire le porte a nuove strategie terapeutiche, nei casi in cui la sola dieta non fosse sufficiente. A tal proposito, sarà necessario allargare l’orizzonte temporale dello studio, tornando a esaminare la nostra corte di pazienti con nuovi follow-up e proseguire le nostre ricerche sui meccanismi molecolari che governano il passaggio dalla condizione di prediabete a quella di diabete conclamato”.Di grande importanza per la conduzione dello studio Diapason è stato il contributo della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, la cui mission è promuovere i giovani migliori incentivando i loro programmi di ricerca innovativi.