Site icon Tecnomedicina

Scoperti nuovi geni regolatori del nostro sistema immunitario

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, Università della Svizzera italiana, e dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano ha identificato un meccanismo molecolare che mantiene la regolazione della risposta del nostro sistema immunitario agli attacchi di agenti patogeni, quali infezioni o virus, evitando risposte eccessive che possono danneggiare l’organismo. I risultati del lavoro sono  pubblicati su “Nature Immunology”.

“Abbiamo identificato una rete molecolare che bilancia le risposte dei nostri linfociti, le cellule del sistema immunitario – spiega Silvia Monticelli, la ricercatrice dell’IRB alla guida del team – Le attività di queste cellule si basano su un delicato equilibrio: da un lato devono assicurare la difesa dell’organismo, ma dall’altro devono limitare il rischio di potenziali danni. Una risposta immunitaria eccessiva può infatti ledere i tessuti e proprio questo danno   può essere all’origine di molte malattie infiammatorie croniche, come la sclerosi multipla. Viceversa, una risposta troppo debole può favorire lo sviluppo di altre gravi patologie, fra cui il cancro. Con il nostro lavoro abbiamo individuato una rete di geni regolatori, concatenati fra loro, che possono favorire o reprimere la reazione pro-infiammatoria e potenzialmente patogenica dei linfociti T”.

In particolare i ricercatori hanno identificato un regolatore della trascrizione dei geni, BHLHE40, come fattore chiave di questa regolazione. A sua volta, BHLHE40 reprime direttamente l’espressione di un enzima, la Regnase-4, capace di degradare molecole infiammatorie, che sono fondamentali per una corretta risposta immune, ma che possono risultare dannose se prodotte in eccesso.

Dunque nel nostro sistema immunitario i linfociti T hanno il ruolo essenziale di orchestrare le risposte di difesa contro l’invasione degli agenti patogeni esterni. Tuttavia possono anche favorire lo sviluppo di malattie croniche quando le risposte sono così forti da danneggiare I tessuti sani. Per questo motivo devono esistere per forza dei meccanismi di controllo della loro attivazione.

“Quando abbiamo iniziato questo studio circa cinque anni fa, – dichiara Stefan Emming, ricercatore dell’IRB e prima firma dell’articolo – volevamo capire che cosa rende una cellula T infiammatoria e potenzialmente patogenica. Grazie ad un intenso lavoro di squadra abbiamo identificato un meccanismo molecolare che regola l’attività dei linfociti, in modo da limitare il rischio di infiammazioni croniche e malattie autoimmuni.”

“In questo lavorocontinua Niccolò Bianchi dell’IRB e co-autore dell’articolo – abbiamo scoperto un network molecolare che regola la produzione di citochine infiammatorie nei linfociti T, e abbiamo identificato il repressore BHLHE40 come un fattore chiave per questa regolazione. Questa scoperta importante amplia le nostre conoscenze riguardanti malattie infiammatorie croniche.”

Sara Polletti, ricercatricedello IEO e co-primo autore dell’ articolo, aggiunge “Sono molto orgogliosa del mio contributo a questo progetto collaborativo e multidisciplinare, che ha portato a risultati molto importanti con implicazioni che riguardano vari aspetti delle risposte immuni, potenzialmente anche a livello di immunoterapia dei tumori.”

“L’immunoterapia dei tumori e l’immunomodulazione di malattie autoimmuni possono essere viste come due facce della stessa medaglia – dichiara Gioacchino Natoli, group leader del Dipartimento di Oncologia Sperimentale IEO – In entrambi i casi vogliamo regolare l’attività dei linfociti, solo che mentre nei tumori questa attivazione deve essere massimizzata, nelle malattie autoimmuni deve essere limitata”.

“In generale la ricerca su tutti gli aspetti della regolazione delle risposte immunitarie è veramente fondamentale per capire cosa succede in tanti tipi di malattie, incluse le malattie infettive, come stiamo purtroppo vedendo oggi con la pandemia del Covid-19 – conclude Silvia Monticelli – La speranza è sempre quella che ricerche vigorose in questo senso ci portino a nuove terapie, anche se la ricerca richiede tempo e pazienza, e i risultati quasi sempre si vedono solo a distanza di anni.”

Exit mobile version