Schizofrenia: il punto di vista biologico
Il dualismo cartesiano tra corpo e mente, tra res extensa e res cogitans, ha influenzato il pensiero moderno fino ai giorni nostri, basti pensare alla dicotomia cervello-mente di Karl Popper e John Eccles nell’opera del 1977 “L’Io e il suo cervello”. Per Cartesio il cervello è un organo del corpo e le sue malattie sono di competenza dei medici, mentre le disfunzioni della mente, nella loro dimensione morale e spirituale, sarebbero di competenza del clero e della religione. Tale visione è meno obsoleta e stantia di quanto non si possa credere. Se la neurofisiologia e lo studio delle malattie neurologiche hanno dato un contributo fondamentale alla comprensione delle funzioni del cervello, il percorso non è stato così lineare per le malattie psichiatriche. La TAC dell’encefalo, dimostrando una lesione infartuale del lobo frontale sinistro, fornisce gli elementi esplicativi del disturbo del linguaggio e consente al neurologo di formulare la diagnosi di afasia espressiva in ictus cerebrale. Ma un esame neuroradiologico come la TAC o la RMN cerebrale fornirebbe le stesse indicazioni allo psichiatra nel caso di sospetta schizofrenia? La risposta è no, e in questo limite risiede il travaglio filosofico e scientifico, articolatosi attraverso il tempo, nel campo delle malattie mentali. Un contributo fondamentale alla laicizzazione della psichiatria provenne, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, da Sigmund Freud, sulla cui scia si inserì l’opera di altri Autori. Tuttavia, prima della recente rivoluzione operata dalla psichiatria biologica, l’unico approccio alle malattie mentali era quello psicoterapico. Il merito della psichiatria biologica è quello di aver sdoganato il concetto di malattia mentale come espressione di alterazioni organiche del cervello, aprendo la strada verso le cure farmacologiche.
La schizofrenia è la malattia mentale per antonomasia ed è caratterizzata da una perdita di contatto con la realtà, da alterazioni del pensiero, delle percezioni e del comportamento. Le prime osservazioni della psichiatria biologica sulla schizofrenia riguardarono la concordanza tra parenti affetti da tale patologia. Il rischio di ammalarsi di schizofrenia è dell’1% per la popolazione generale, ma sale al 48% per i gemelli identici. Questo rischio cala, fino ad avvicinarsi all’1%, man mano che la parentela diventi più lontana e i soggetti condividano un minor numero di geni.
Importanti scoperte derivarono dagli effetti dell’anfetamina su soggetti sani: tale sostanza psicostimolante può indurre una sintomatologia schizofrenosimile; gli effetti delle anfetamine sono riconducibili a un abnorme potenziamento di un neurotrasmettitore, la dopamina, che agisce sui circuiti motivazionali mesocorticolimbici. Da queste osservazioni nascono la teoria dopaminergica della schizofrenia e la sperimentazione su farmaci antidopaminergici che, a partire dalla clorpromazina in uso fin dal 1950, rappresentano a tutt’oggi presidio terapeutico imprescindibile. Un nuovo fronte nel campo della psicofarmacologia è stato aperto dalla scoperta che anche anestetici come la fenciclidina (PCP) e la ketamina possono provocare sintomi schizofrenosimili; tali sostanze non hanno al giorno d’oggi impiego clinico – con l’eccezione della ketamina in medicina veterinaria -, ma sono usate come droghe da strada (“polvere degli angeli” la fenciclidina, “special K” o “vitamina K” la ketamina). Sia la fenciclidina che la ketamina agiscono bloccando il recettore NMDA di un importante neurotrasmettitore eccitatorio del cervello, il glutammato. Da qui nasce la teoria glutammatergica della schizofrenia, e le più recenti ricerche su farmaci attivi sul recettore NMDA.
Le rilevanti scoperte della psichiatria biologica, tuttavia, non sono a tutt’oggi in grado di spostare l’ago della bilancia cervello-mente verso il primo dei due estremi, inducendo una “neurologizzazione” della psichiatria, ossia la totale riconducibilità delle malattie mentali, come la schizofrenia, a disfunzioni dei circuiti trasmissivi del cervello, ancorché non dimostrabili con esami clinici tradizionali come la TAC e la RMN. Se riguardiamo gli studi parentali, perché nei gemelli identici, che hanno cervelli biologicamente altrettanto identici, la concordanza della patologia schizofrenica è del 48% e non del 100%? Questa obiezione ci porta ad affermare che i fattori genetici e biologici sono importanti ma non totalmente. Il determinismo della schizofrenia, anche nel caso di gemelli identici, è, per il restante 52%, da far risalire a fattori ambientali, psicosociali e relazionali. Così la terapia delle sindromi schizofreniche deve prevedere non solo l’impiego di farmaci, ma anche interventi sociali e psicoterapici.
(Dott. Aldo Nocchiero)