È stata la lettura di uno dei libri più famosi di Isaac Asimov a fornirle la prima idea. “Avete presente la trama di Viaggio allucinante? – racconta Veronica Iacovacci, post-doc dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Sant’Anna – quella in cui il sommergibile Proteus entra nel corpo dello scienziato Benes per salvarlo da un aneurisma cerebrale? Dopo aver letto il libro, mi sono chiesta: cosa ancora ci separa da terapie così mirate e accurate? Esiste un modo per trasformare la fantascienza in scienza al servizio dell’uomo?
Da queste domande è nato il paper “An Intravascular Magnetic Catheter Enables the Retrieval of Nanoagents from the Bloodstream”, pubblicato sulla rivista Advanced Science da un gruppo di ricercatori proveniente da tre centri di ricerca d’eccellenza italiani: l’Istituto di BioRobotica, l’Istituto Italiano di Tecnologia con Edoardo Sinibaldi e Giovanni Signore e il Dipartimento di Ricerca Traslazionale dell’Università di Pisa con Fabio Vistoli.
Lo studio punta a risolvere un problema ormai annoso nei trattamenti di terapia localizzata: il controllo di nanoparticelle con proprietà magnetiche che, proprio come il Proteus, si muovono all’interno del corpo umano e possono essere iniettate nel flusso sanguigno di pazienti affetti da tumori per rilasciare farmaci o per fare ipertermia, ovvero per bruciare localmente i tessuti tumorali. Purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, le nanoparticelle si perdono nel corpo, danneggiando i tessuti e gli organi sani. Per contrastare questo problema è stato progettato per la prima volta un microcatetere intravenoso in grado di recuperare e isolare le particelle pericolose per l’organismo umano e “accompagnarle” fuori dal circolo sanguigno grazie all’utilizzo di magneti. Il sistema è in grado di intervenire nelle patologie che si sviluppano principalmente nel fegato, ma anche in altri organi come i reni e il pancreas.
“Innanzitutto – spiega Veronica Iacovacci – siamo partiti da un dato di fatto: nonostante i progressi dell’ultimo decennio, controllare “sommergibili” di dimensioni pari ad alcune decine di nanometri e guidarli con precisione verso la zona interessata alla patologia è una sfida ancora aperta. Secondo uno studio pubblicato recentemente su Nature, con gli approcci proposti finora, meno dell’1% delle nanoparticelle terapeutiche iniettate raggiunge l’organo da curare. Questo apre un dilemma senza fine: avremmo infatti bisogno di iniettare dosi massicce di particelle per accumulare una dose efficace di farmaco nel tessuto; di contro ma questo significa avere una dose proporzionalmente altissima, quasi il 99% di particelle non accumulate, libere di navigare nel corpo umano ed esercitare effetti tossici sui tessuti sani”.
E, seppur in questo momento, siamo ancora in una fase preliminare dello studio, questo lavoro può aprire nuove frontiere di ricerca nei campi della microrobotica e della nanomedicina visto che il microcatetere consentirebbe di superare i limiti delle terapie tradizionali aumentando l’efficacia del trattamento e riducendo gli effetti collaterali.
“Il dispositivo – continua Iacovacci – è formato da 27 magneti di soli 3,6 mm di diametro ed è in grado di scandagliare il corpo del paziente e recuperare nanoparticelle magnetiche con efficienze fino al 94%. L’impiego di tale catetere permetterebbe di svolgere l’azione terapeutica nella zona interessata alla patologia, senza interferire sui tessuti sani del corpo”.
“Abbiamo progettato il microcatetere – sottolinea Edoardo Sinibaldi di IIT – partendo da un modello matematico che descrive il flusso pulsante del sangue e la forza di attrazione esercitata dai magneti sulle nanoparticelle, usando algoritmi in grado di elaborare grandi quantità di dati e dimostrando come sia necessario affrontare aspetti teorici e applicativi in modo combinato per risolvere problemi all’intersezione tra ingegneria, nanotecnologie e medicina.”
“Anche in medicina la sfida dell’innovazione tecnologica deve sempre partire da una visione di una soluzione ideale di un problema concreto – aggiunge il professor Fabio Vistoli, docente di chirurgia generale all’Università di Pisa, che ha collaborato nella selezione di alcuni target di malattia e organi bersaglio che si potevano meglio prestare, per la loro anatomia, a ottenere il risultato di colpire il tumore e consentire un recupero efficace delle particelle magnetiche residue – visione che poi, per diventare soluzione praticabile, richiede uno sforzo di analisi, creatività e trovare conferme di applicabilità. La solidità dei risultati ottenuti, come nel caso di questo dispositivo, nasce dall’applicazione di un metodo rigoroso derivante dalla collaborazione tra ricercatori di formazione ed estrazione varia, come quelli che sono rappresentati nel nostro gruppo di ricerca: matematici, ingegneri e clinici. Sono convinto che altri risultati arriveranno continuando su questa strada di collaborazione multidisciplinare tanto proficua”.
Il prossimo step è proseguire nella linea tracciata dal lavoro. In tal senso il gruppo Menciassi sta cercando finanziamenti pubblici e privati che permettano di intraprendere un percorso verso l’effettiva realizzazione di un sistema che segnerebbe un deciso progresso nell’impiego di nanotecnologie nella pratica clinica, nonché nell’utilizzo di farmaci finora poco impiegati nelle cure tumorali per il rischio di effetti collaterali.