Molti batteri motili, come Escherichia coli, esplorano continuamente lo spazio circostante alla ricerca delle migliori condizioni di crescita.

Come animali da pascolo, se lasciati in uno spazio aperto, i batteri diffondono e si distribuiscono uniformemente sui “prati” ovunque il cibo sia disponibile. Radunarli è una delle responsabilità più difficili, soprattutto quando questi sono numerosi e corrono velocemente.

Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza ha dimostrato che microscopici spot di luce, come migliaia di cani pastore, possono radunare anche i batteri più veloci in un’area ristretta. Ciò è possibile solo se i batteri sono geneticamente modificati per produrre proteorodopsina, una pompa protonica che, come un mini pannello solare, sfrutta l’energia luminosa per muovere i flagelli. Lo studio, pubblicato su “Nature Communications”, è frutto della collaborazione della Sapienza con il CNR-Nanotec e l’Istituto italiano di tecnologia.

“Questi batteri – spiega Helena Massana-Cid, ricercatrice del Dipartimento di Fisica della Sapienza e primo nome dello studio – si muovono velocemente quando la luce è intensa e più lentamente nelle zone buie. Quindi, per radunarli è stato utilizzato un proiettore di luce controllato dal computer e costituito da minuscoli riflettori puntati sulle singole cellule, in grado di spegnere rapidamente la luce sui batteri che cercavano di fuggire dall’area di raccolta”.

Grazie a una fotocamera digitale associata al microscopio i ricercatori hanno ottenuto le immagini delle sospensioni di batteri, che sono state elaborate in tempo reale attraverso trasformazioni geometriche, per poi essere proiettate sul campione con un ritardo temporale fissato. Così, muovendosi illuminati da questa immagine deformata del loro passato, migliaia di batteri possono dirigersi insieme, come un branco, verso una specifica regione.

Le particelle in grado di consumare energia per muoversi attivamente, come i batteri motili, fanno parte di un’ampia classe di sistemi di non-equilibrio, sia sintetici che biologici, chiamati collettivamente “materia attiva”. Sebbene prevedere e controllare il comportamento di questi sistemi risulti una sfida ancora aperta a cavallo tra fisica e biologia, questo esperimento apre la strada a sviluppi interessanti sia negli aspetti fondamentali della fisica del non-equilibrio, che nelle sue applicazioni.

“A livello fondamentale – conclude Roberto Di Leonardo del Dipartimento di Fisica della Sapienza e coordinatore dello studio – siamo riusciti a stabilire una relazione matematica tra le proprietà geometriche dei pattern di luce proiettati e il modo in cui i batteri rispondono distribuendosi nello spazio. Riguardo invece le future applicazioni, la luce potrebbe essere utilizzata per intrappolare e trasportare nuvole di particelle attive in laboratori miniaturizzati, che sfruttano l’energia meccanica per azionare micro-macchine con componenti sia biologiche e che sintetiche”.