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Policlinico San Donato di Milano: bimba di 7 mesi salvata da un delicato intervento di cardiochirurgia pediatrica

“Abbiamo temuto che morisse. Il suo cuoricino non funzionava bene. E i farmaci non facevano effetto. Io, mia moglie e gli altri 4 figli, dopo la gioia della sua nascita, eravamo piombati nello sconforto e nella disperazione. Poi però, grazie ai medici, si è riaccesa la speranza e oggi la nostra piccola Nour è viva. È una bambina allegra e vivace. Sorride sempre ed è la mascotte di tutta la famiglia”. 

Ha gli occhi che brillano Mohammed, 50 anni, originario del Marocco, ma residente a Pontida da 13 anni. È il papà di Nour, bimba di soli 7 mesi con già un intervento di cardiochirurgia pediatrica alle spalle, un intervento chirurgico delicato che le ha salvato la vita, frutto della professionalità e della collaborazione tra il Policlinico San Pietro di Bergamo e l’IRCCS Policlinico San Donato di Milano

Il calvario della piccola Nour inizia immediatamente dopo la nascita: la bimba, che è affetta dalla Sindrome di Down, non respira bene,  non riesce ad alimentarsi e non cresce come dovrebbe. I genitori, preoccupati, si rivolgono ai pediatri del Policlinico San Pietro che, viste le condizioni della bambina, sospettano possa trattarsi di un problema di cuore. 

Nour viene così immediatamente sottoposta a una visita cardiologica con il dottor Paolo Ferrero, cardiologo pediatra e ricercatore dell’Unità di cardiopatie congenite dell’IRCCS Policlinico San Donato, diretta dal professor Massimo Chessa, e, da circa un anno e mezzo, referente dell’ambulatorio di cardiologia pediatrica al Policlinico San Pietro, dove sono già stati seguiti 500 bimbi con cardiopatie congenite provenienti dalla bergamasca, ma non solo.

La diagnosi non lascia dubbi: la piccola ha un ampio difetto del setto intraventricolare. 

“Si tratta di un difetto congenito a causa del quale si crea un passaggio di sangue tra il ventricolo destro e il ventricolo sinistro. Se non trattata, questa patologia può portare a uno stato clinico talmente grave di scompenso cardiaco da essere incompatibile con la sopravvivenza. 

Anche nei casi in cui venga superata la fase iniziale, la malattia evolve verso una condizione di ipertensione polmonare, condizione che nel tempo è gravata comunque da elevata mortalità”, spiega il dottor Ferrero. 

Non ci sono alternative: bisogna iniziare al più presto una terapia farmacologica. “In queste patologie l’approccio standard è quello di tentare una stabilizzazione con i farmaci anti scompenso al fine di rimandare l’intervento chirurgico quando il bambino ha un peso maggiore”. 

E così la piccola, sempre sotto stretta osservazione, prima presso la neonatologia del Policlinico San Pietro diretta dal dottor Lovati e, successivamente, nell’unità di pediatria diretta dal dottor Kantar, comincia le cure. Inizialmente sembra che le medicine funzionino, ma dopo un primo miglioramento la situazione comincia a regredire con importanti segni di scompenso cardiaco. 

Non resta che l’intervento chirurgico. Papà Mohammed e mamma Fatima hanno piena fiducia nei medici, ma la paura è tanta. Nour ha poco più di 1 mese, è uno scricciolo, e, essendo anche portatrice della Sindrome di Down, è ancora più delicata. 

“Nonostante le condizioni non ideali, non c’erano alternative all’intervento chirurgico e così l’abbiamo trasferita all’IRCCS Policlinico San Donato, centro di eccellenza per la cura delle cardiopatie congenite come quella di Nour, per essere sottoposta all’intervento correttivo per chiudere il difetto del setto intraventricolare”. 

I giorni che precedono l’intervento per mamma e papà, ma anche per le sorelle e fratelli di Nour sono i più difficili, un misto di paura e timori, aspettative e speranza. L’operazione, effettuata dal dottor Alessandro Giamberti, direttore del reparto di cardiochirurgia pediatrica e delle cardiopatie congenite e dalla sua équipe, viene portata a termine con successo. Per i genitori è un vero sospiro di sollievo. 

Dopo un paio di mesi di ricovero, Nour viene dimessa e può finalmente ritornare a casa con la sua famiglia. Per i genitori, poterla vedere finalmente sorridere di nuovo, giocare, muovere le manine alla ricerca del contatto con loro è come un miracolo. Un miracolo frutto di un grande lavoro di squadra tra specialisti e ospedali con un unico obiettivo: salvare piccole vite.

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