Non sono trascorsi molti anni da quando la SLA era circondata dal “mistero”. I medici, i neurologi in particolare, raccontavano di arrivarci per “esclusione”. Ci voleva molta preparazione clinica e molta esperienza. Si arrivava alla diagnosi, escludendo altre malattie neurodegenerative, soprattutto attraverso i sintomi e le disabilità. Tanto che erano sorti centri specializzati nella diagnosi della SLA. Oggi il quadro della malattia, pur sempre drammatica, sta cambiando. Accanto alle serrate ricerche internazionali sulla genetica della SLA, a cui il gruppo guidato dal prof. Vincenzo Silani sta dando contributi fondamentali, ora si affianca un test, un esame di laboratorio sul sangue del paziente, che consente non solo di diagnosticare la SLA, ma pure di seguirne l’evolvere della malattia. Tutto ciò apre ancor più la strada alla diagnosi precoce e alla futura terapia della SLA.
Con circa 8.000 persone colpite a livello federale, informano i ricercatori tedeschi, in Italia almeno 3500 malati e 1000 nuovi casi all’anno, la SLA appartiene alle malattie neurodegenerative rare. Tuttavia questa malattia neurologica fatale è nota ad un più vasto pubblico per effetto di pazienti illustri come il fisico da poco deceduto dopo una lunga sopravvivenza Stephen Hawking e diversi casi tra i calciatori italiani. Nel corso della malattia muoiono le cellule nervose responsabili del comando dei muscoli (motoneuroni). Ne consegue una paralisi degli arti così come della muscolatura respiratoria, e nella maggior parte dei casi i pazienti decedono 1-10 anni dopo l’inizio della malattia. Nel frattempo sono in corso intense ricerche volte allo sviluppo di terapie efficaci che rendono una diagnosi precoce sempre più importante. A completamento della diagnostica clinica, neurofisiologica e di neuroimmagine, il gruppo di ricerca tedesco-italiano del prof. Markus Otto e di un giovane e promettente ricercatore che durante la sua formazione ha lavorato anche a Ulm, il neurologo attualmente all’Auxologico Federico Verde, ha ora sviluppato un test che rende possibile una differenziazione della SLA da altre malattie neurologiche. A questo fine non è necessario un prelievo di liquido cerebrospinale, bensì semplicemente un campione di sangue. Quindi molto più semplice, non traumatico per i pazienti e soprattutto ripetibile nel tempo.
Il test sul sangue misura la concentrazione di neurofilamenti nel siero dei pazienti. Si tratta di proteine che formano l’“impalcatura” delle cellule nervose come i motoneuroni. Se queste cellule nervose degenerano come nel corso della sclerosi laterale amiotrofica, vengono rilasciati dei frammenti dell’impalcatura proteica. In conseguenza di ciò la concentrazione del biomarcatore è aumentata nei pazienti – precedenti studi hanno già documentato questo effetto nel liquor.
«Negli anni scorsi i processi di misurazione nel campo della proteomica si sono fortemente sviluppati. Grazie a ciò diviene possibile la rilevazione di biomarcatori come NFL in concentrazioni molto basse e persino nel siero», spiega il primo autore Federico Verde, ricercatore del Dipartimento di Neurologia dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano e dell’Università di Milano, che in precedenza ha svolto attività di ricerca all’Università di Ulm. Il nuovo test ematico si fonda sulla cosiddetta tecnologia Single Molecule Array.
L’affidabilità del nuovo metodo diagnostico è stata verificata su 124 pazienti della Clinica neurologica universitaria di Ulm e su 159 controlli. Tra questi ultimi vi erano probandi con altre malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson così come partecipanti privi di malattie neurologiche degenerative o infiammatorie. Di fatto la concentrazione di NFL nel sangue dei pazienti con SLA si è mostrata essere la più alta e ha reso possibile una diagnosi differenziale. La comparazione delle misurazioni ha consentito inoltre ai ricercatori di stabilire una soglia diagnostica per la sclerosi laterale amiotrofica: se la suddetta soglia di concentrazione di NFL nel sangue è superata, la diagnosi di SLA è rafforzata. Inoltre gli autori hanno potuto mostrare che il livello misurato del biomarcatore correla con l’aggressività del decorso della malattia. «I pazienti con SLA con una più alta concentrazione di NFL nel sangue subiscono un più veloce peggioramento clinico ed hanno in media un tempo di sopravvivenza più breve», spiega il prof. Otto. Il biomarcatore NFL è misurabile già poco tempo dopo l’esordio dei primi sintomi e possibilmente permetterà di tracciare anche la risposta a future terapie.
In futuro l’affidabilità del nuovo test su sangue deve essere verificata in coorti più ampie ed omogenee. Se il test si conferma valido, sarebbe appropriato per esempio per la diagnosi precoce in famiglie con la variante ereditaria della SLA oppure per pazienti per i quali per ragioni mediche non possa essere effettuata una puntura lombare. Questo metodo di analisi aggiuntivo potrebbe essere impiegato anche nel corso di studi clinici.
«La rilevanza dello studio è triplice», conclude il prof. Vincenzo Silani, del cui team di ricercatori e clinici in Auxologico il dott. Verde fa parte. «Anzitutto esso arricchisce la clinica della SLA di un nuovo test diagnostico che si affianca alle indagini cliniche, neurofisiologiche e di neuroimmagine. Inoltre promuove il sangue – ottenuto mediante prelievo venoso periferico – a materiale biologico di primaria rilevanza diagnostica in un ambito clinico nel quale le indagini biochimiche erano tradizionalmente limitate al liquido cerebrospinale. Infine introduce un test di probabile futuro impiego per il monitoraggio della risposta a trattamenti sperimentali nel corso di trial farmacologici».
Il lavoro consolida ulteriormente l’esperienza dell’ IRCCS Istituto Auxologico e del Centro “Dino Ferrari” dell’ Università Statale di Milano nella definizione di biomarcatori delle malattie neurodegenerative per l’avvio di una terapia personalizzata dei pazienti e rafforza la fruttuosa interazione con il Centro Universitario di Ulm, con il quale l’ IRCCS Auxologico Italiano vanta una collaborazione storica . Questo lavoro sottolinea ulteriormente la stretta sinergia per il futuro, volta a definire biomarcatori sierici, cioè rintranciabbili anche nel sangue, di valore diagnostico ma anche di significato terapeutico per i pazienti affetti da SLA come da altre malattie neurologiche.