Un gruppo di scienziati dell’Università degli Studi di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare, in collaborazione con l’University College London, è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifidache colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staffpresso UCL, Nicola Elvassore (nella foto), Professore dell’Università di Padova e Direttore Scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la Stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.

Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l’obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentatola dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione”. afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica”, conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.