“Pallottole magiche” in grado di uccidere agenti patogeni risparmiando le cellule e i tessuti dell’ospite. Così diceva Paul Ehrlich, il padre della chemioterapia, circa 100 anni fa. Questo concetto è stato oggi raccolto come sfida nella lotta contro il virus responsabile dell’attuale pandemia. In questo scenario, un team di ricercatori sardi, appartenenti all’Università di Sassari, all’azienda Nanomater S.r.l., e all’Università della California, ha pensato di incrementare l’efficacia di agenti antivirali da utilizzare nella terapia anti COVID-19, veicolandoli tramite “nanonavette” intelligenti, in grado di riconoscere selettivamente le cellule infettate o che potrebbero infettarsi con il virus SARS-CoV-2.
Il team ha iniziato a lavorare sul progetto all’inizio della pandemia, quando si erano acquisite informazioni sul meccanismo attraverso il quale il virus infetta le cellule – in particolare quelle dell’epitelio alveolare del polmone – partendo dall’idea di sfruttare lo stesso processo come potenziale terapeutico.
I risultati dello studio dal titolo “Development of Targeted Nanoparticles Loaded With Antiviral Druds For SARS-CoV-2 Inhibition”, coordinato dal chimico farmaceutico Mario Sechi, in collaborazione con la nanotecnologa Vanna Sanna e il biologo Sandro Satta, sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista di chimica farmaceutica “European Journal of Medicinal Chemistry”. Anche il Prof. Tzung Hsiai è coautore dell’articolo.
La ricerca ha portato alla realizzazione di nanoparticelle di dimensioni simili a quelle del virus, caricate con il farmaco antivirale Remdesivir, utilizzato come modello, e di recente approvato per il trattamento della malattia COVID-19; queste nanoparticelle sono state ingegnerizzate in superficie con piccoli “gancetti” capaci di riconoscere e di interagire con delle strutture specifiche, presenti sulla superficie delle cellule del tessuto polmonare: esse costituiscono il sito di riconoscimento per il SARS-CoV-2 per l’ingresso e quindi l’infezione nelle cellule. La presenza di questi “ganci molecolari”, nel favorire l’interazione tra il nanovettore e le cellule principalmente localizzate nell’apparato respiratorio, consente la veicolazione selettiva del farmaco verso tali bersagli.
La novità introdotta dal team sardo è che la nanonavetta così realizzata può consentire all’agente antivirale caricato al suo interno di raggiungere con più selettività le cellule già infettate, e quindi essere utilizzato in dosi contenute, garantirne una efficiente distribuzione e limitarne eventuali effetti indesiderati per l’organismo. Inoltre, tale tecnologia offre la possibilità di somministrare farmaci per il trattamento di COVID-19 per via inalatoria, ampliandone così le potenzialità e le applicazioni terapeutiche come nel caso del Remdesivir, correntemente somministrato per via endovenosa. Questo approccio può essere sfruttato non solo per il Remdesivir ma anche per qualunque altro agente potenzialmente utile per la terapia del COVID-19.
I risultati degli esperimenti condotti in laboratorio sulle cellule infettate hanno mostrato un significativo incremento dell’attività antivirale del farmaco veicolato attraverso la nanonavetta e confermato la sua competizione con il virus nell’ingresso nella cellula. Sono in corso delle interlocuzioni con aziende interessate a sviluppare questa tecnologia. Questi risultati hanno portato nuovi stimoli ed entusiasmo nel proseguire gli studi volti a migliorare la struttura dei nanosistemi intelligenti e ad approfondirne l’efficacia nella prospettiva di ulteriori sviluppi.
La collaborazione tra il gruppo di ricerca sardo e quello statunitense, anche su altre tematiche, ha inoltre consentito di generare una solida piattaforma sperimentale per altri progetti nel settore dello sviluppo di nuovi farmaci innovativi e della loro veicolazione con nanosistemi ad alto contenuto tecnologico. Un ringraziamento da parte dei ricercatori è rivolto a tutti gli amici che nelle diverse fasi del lavoro hanno interagito con lo studio, in particolare la dott.ssa Maria Orecchioni, responsabile del laboratorio di Risonanza Magnetica Nucleare per il suo prezioso contributo. “C’è grande soddisfazione per i risultati ottenuti e per l’attenzione ricevuta dallo “European Journal of Medicinal Chemistry”, una delle riviste a impatto più alto per lo specifico settore scientifico – commenta il professor Mario Sechi – Tuttavia, devo purtroppo constatare l’assenza di contributi economici dedicati, nonostante le richieste di supporto o di partecipazione a bandi inoltrate a diverse Istituzioni. Penso che si potrebbe fare di più in questa fase delicata della situazione sanitaria”.