Uno studio condotto dal Laboratorio CIAS dell’Università di Ferrara insieme all’Università di Udine e alla Bocconi di Milano dimostra come, grazie a nuovi metodi igienico-sanitari che rimodellano il microbiota ospedaliero, sia possibile ridurre del 52% le infezioni correlate all’assistenza sanitaria negli ospedali, del 60,3% il consumo degli antibiotici e del 75% i costi ad essi associati.

“I risultati ottenuti sono molto promettenti, dal momento che le infezioni correlate all’assistenza sanitaria colpiscono attualmente ogni anno 3 milioni di persone in Europa, provocando oltre 37.000 morti” spiega la professoressa Elisabetta Caselli del dipartimento di Scienze mediche di Unife.

Il sistema innovativo testato per la sanificazione degli ambienti, definito PCHS, si basa sull’uso di probiotici, “cioè sull’uso di detergenti ecologicamente sostenibili contenenti spore di tre specie di Bacillus” specifica la professoressa.

La sperimentazione, condotta presso l’ospedale Gemelli di Roma e gli ospedali di Feltre, Tolmezzo, Foggia e Pavia, ha esaminato oltre 11.000 pazienti durante il loro ricovero in ospedale, analizzando più di 400 infezioni correlate all’assistenza sanitaria e oltre 30.000 campioni microbiologici ambientali.

“I reparti di medicina interna degli ospedali arruolati nello studio sono stati esaminati per sei mesi durante l’utilizzo del convenzionale metodo di pulizia a base di sostanze chimiche e successivamente, per ulteriori sei mesi, con il metodo da noi proposto”.

Il nuovo sistema igienico-sanitario è risultato associato a una riduzione media dell’83% dei patogeni rilevati sulle superfici ospedaliere e ad una riduzione del 70-99,9% dei geni per la resistenza agli antibiotici.

“Nel caso di Staphylococcus aureus, che svolge un ruolo importante nelle infezioni correlate all’assistenza sanitari, abbiamo ottenuto risultati particolarmente incoraggianti. Gli stafilococchi rappresentavano fino al 90% del microbiota contaminante l’ambiente ospedaliero. I batteri di questa specie isolati dalle superfici nella fase post intervento sono risultati dal 63,9 al 93,5% meno resistenti agli antibiotici, a seconda del tipo di antibiotico, e quelli resistenti a tre o più antibiotici sono diminuiti del 72,4%”, precisa la Caselli.

La ricerca è stata finanziata dal Consorzio Futuro in Ricerca e dalla COPMA scrl di Ferrara.