La collaborazione scientifica fra l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, la Sapienza e l’IRCCS Pascale di Napoli, sostenuta dall’AIRC – Associazione italiana per la ricerca sul cancro, ha prodotto interessanti risultati sul trattamento del melanoma. I ricercatori, coordinati da Gennaro Ciliberti dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena e da Rita Mancini del Dipartimento di Medicina clinica e molecolare, hanno indagato il ruolo dei microRNA nella resistenza alle terapie, aprendo nuove strade al trattamento del tumore. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Cell Death & Differentiation.
Attraverso tecniche di biologia molecolare il team ha osservato che numerosi microRNA sono presenti in maniera differente dopo lo sviluppo di resistenza ai farmaci anti-BRAF. Alcuni sono più presenti nelle cellule resistenti mentre altri lo sono meno. L’ipotesi che origina da questa osservazione è che il melanoma per diventare resistente debba evolvere, liberandosi di determinati miRNA e arricchendosi di altri.
Inoltre è stato osservato che, se nelle cellule di melanoma resistenti i microRNA vengono riportati a livelli normali, le cellule riacquisiscono la sensibilità ai farmaci. Un’altra caratteristica interessante dei microRNA prodotti dai tumori è che essi possono essere rintracciati nel sangue umano come biomarcatori di biopsia liquida in maniera semplice ed economica. In particolare il gruppo di lavoro ha dimostrato che alcuni fra i microRNA studiati sono rilevabili nel sangue dei pazienti con melanoma e sono in grado di indicare lo sviluppo di resistenza alla terapia.
Il melanoma è il cancro più aggressivo della pelle e la sua incidenza è in progressivo aumento, in larga parte a causa della maggiore o più concentrata esposizione ai raggi UV. In Italia si stimano circa 7.300 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 6.700 tra le donne. L’incidenza è in crescita e, come confermano i dati dell’Associazione italiana registri tumori, è raddoppiata negli ultimi 10 anni.
Fino a pochi anni fa la forma metastatica era ritenuta una malattia difficilmente curabile, ma fortunatamente negli ultimi anni si sono registrati importanti successi nella lotta a questo tipo di tumore. Le attuali terapie per il melanoma sono oggi di due tipi principali: l’immunoterapia con gli anticorpi inibitori dei checkpoint immunologici e le terapie a bersaglio molecolare con farmaci inibitori delle chinasi.
Lo sviluppo di quest’ultima terapia è originato dalla scoperta che in molti casi questo tumore è provocato dall’oncogene BRAF (un oncogene è un gene che, se mutato, dà origine al cancro). La proteina alterata prodotta da BRAF può essere efficacemente colpita con terapie mirate, in grado di uccidere solo le cellule malate, risparmiando quelle sane. Tuttavia uno scoglio ancora da superare è lo sviluppo della resistenza ai trattamenti, una condizione in cui la risposta alla terapia è parziale o del tutto assente. La resistenza può presentarsi anche durante le cure, rendendo inutili i farmaci utilizzati in precedenza e portando spesso alla morte dei pazienti.
Da questo fondamentale problema clinico sorgono quesiti essenziali: se si possono identificare nuove molecole e farmaci in grado di migliorare le attuali cure e, se e come, è possibile prevedere che un paziente risponda o meno alle terapie.
È in questo contesto che si inserisce il nuovo studio, offrendo opportunità terapeutiche e diagnostiche che potranno, se ulteriormente approfondite, essere utilizzate per esercitare un crescente controllo di questa malattia.