Uno studio, realizzato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri in collaborazione con l’Istituto di Neuroscienze del CNR e Istituto Clinico Humanitas, ha identificato un meccanismo alla base della morte neuronale in modelli animali di malattie da prioni di origine genetica, che fanno parte della stessa famiglia del ‘morbo della mucca pazza’. Lo studio contribuisce a comprendere perché queste malattie hanno caratteristiche cliniche variabili e suggerisce che farmaci già usati nella pratica clinica possano migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da queste gravi patologie.
“Abbiamo studiato tre diversi modelli di topi transgenici che riproducono le caratteristiche salienti della malattia di Creutzfeldt-Jakob, della sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker e dell’insonnia fatale familiare”, spiega Roberto Chiesa, responsabile del laboratorio di Neurobiologia dei Prioni dell’Istituto Mario Negri che con Michela Matteoli Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e responsabile del laboratorio Pharmacology and Brain Pathology di Humanitas, ha coordinato lo studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS Pathogens.
“Queste rare malattie sono tutte causate da mutazioni nel gene della proteina prionica, ma si manifestano in modo molto diverso: la CJD si presenta principalmente con demenza, la GSS con incapacità di coordinare i movimenti e la FFI con insonnia intrattabile. Usando i modelli animali abbiamo studiato il meccanismo alla base di questa variabilità. Abbiamo scoperto che la proteina prionica mutata, accumulandosi all’interno della cellula, altera i recettori di tipo AMPA che sono presenti a livello delle post-sinapsi, ovvero i punti di contatto tra i neuroni dove i segnali chimici vengono trasformati in impulsi elettrici consentendo ai neuroni di dialogare. Il recettore AMPA alterato causa un influsso eccessivo di calcio che porta alla morte del neurone”.
“La cosa interessante è che questo accade nella CJD e nella GSS, ma non nell’FFI perché in questa malattia la proteina prionica si accumula in modo diverso all’interno del neurone e non modifica il recettore AMPA, ma potrebbe causare altre alterazioni”, continua Michela Matteoli. “Abbiamo, infatti, osservato che anche nei neuroni FFI sono presenti delle anomalie a livello delle post-sinapsi. I prossimi studi saranno mirati a capire cosa succede di diverso in questi neuroni”.
“I nostri dati suggeriscono che antagonisti del recettore AMPA, alcuni dei quali sono già utilizzati in clinica per controllare le crisi epilettiche, possano avere un effetto benefico nella CJD e GSS, ma sono necessari altri studi per verificarlo”, conclude Chiesa.
Lo studio è stato possibile grazie a finanziamenti della Fondazione Telethon, Fondazione Cariplo e Ministero della Salute.