Negli ultimi decenti, l’intelligenza Artificiale si è dimostrata capace di grandi traguardi. Nel campo degli scacchi, per esempio: già nel 1996, il computer Deep Blue sconfisse il campione Garry Kasparov. Eppure, una nuova ricerca della SISSA dimostra che la strategia utilizzata dal nostro cervello per memorizzare è più efficace rispetto ai sistemi di intelligenza artificiale. Il nuovo studio, condotto dagli scienziati della SISSA in collaborazione con il Kavli Institute for Systems Neuroscience & Centre for Neural Computation, a Trondheim, Norvegia, è stato appena pubblicato su Physical Review Letters.Che siano naturali o artificiali, i network neurali apprendono modificando finemente le connessioni tra i neuroni, rendendole più forti o più deboli a seconda della circostanza. In questo modo, alcuni neuroni diventano più attivi, altri meno, secondo uno specifico pattern di attività. Questo schema di attivazione dei neuroni è ciò che chiamiamo “una memoria”. Nella memorizzazione, la strategia usata dall’Intelligenza Artificiale si basa sull’uso di lunghi e complessi algoritmiche attraverso un processo iterativo modulano e ottimizzano le connessioni. Il nostro cervello agisce invece in modo molto più semplice: la forza di ogni connessione tra i neuroni dipende semplicemente da quanto spesso essi sono attivi simultaneamente: più questo avviene più forte sarà la connessione tra di loro . Se paragonata agli algoritmi di Intelligenza Artificiale, questa strategia è stata a lungo ritenuta meno efficace perché permetterebbe di immagazzinare un numero minore di memorie. Questa conclusione si basa però su una importante semplificazione in cui i neuroni sono considerati come unità binarie: funzionerebbero insomma con due sole modalità, acceso o spento. Sarebbe proprio questo irrealistico assunto, dice la nuova ricerca, a far ritenere meno efficiente il nostro cervello rispetto ai sistemi artificiali. Secondo gli scienziati della SISSA, quando la strategia utilizzata dal cervello per modificare le connessioni viene combinata con modelli biologicamente più plausibili di risposta dei singoli neuroni, il sistema funziona come, o persino meglio, degli algoritmi di AI. Com’è possibile? Paradossalmente, la risposta è nell’introduzione di errori, ossia nel recupero di memorie che non sono perfettamente identiche all’originale. Quando, nell’elaborazione di uno stimolo, una memoria è efficacemente recuperata, questa può essere identica all’input originale o solo correlata a esso. La strategia del cervello va in questa seconda direzione. In particolare, comporta il recupero di memorie che non sono esattamente uguali all’input originale. Gli errori introdotti corrispondono allo spegnimento dell’attività di quei neuroni che sono solo scarsamente attivi in ogni specifico pattern da memorizzare. Questi neuroni disattivati, infatti, non giocano un ruolo cruciale nel distinguere tra le differenti memorie conservate in uno specifico network. Così facendo, tutte le risorse possono essere concentrate su quei neuroni più direttamente legati all’input in arrivo, portando allo stesso tempo a una capacità di memoria maggiore. Questa ricerca sottolinea come procedure di apprendimento biologicamente plausibili e auto-organizzate, sono tanto efficienti quanto i lenti algoritmi di apprendimento implausibili dal punto di vista neurale.