Formare gli operatori sanitari del futuro, fare entrare nei percorsi terapeutici le nuove tecnologie, analizzare con sistematicità i Big Data per rivoluzionare le politiche di prevenzione e cura: è il cuore delle 30 proposte contenute nel “Libro Bianco” della sanità, frutto del progetto di ricerca ideato da Planning e a cura di CERGAS – SDA Bocconi sotto la Direzione Scientifica del Professor Francesco Longo, Docente di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l’Università Bocconi, e con la partecipazione del Prof. Mario Del Vecchio, della dott.ssa Paola Boscolo e del dott. Marco Sartirana, ricercatori CERGAS. Il documento, redatto assieme a oltre 50 delegati da Ministeri, Enti, Istituzioni e Imprese, viene presentato oggi a Bologna durante il convegno “Area Sanità. Strategie per la salute del Paese” a una platea di 250 ospiti tra policy e decision makers della sanità italiana. Il progetto si avvale della collaborazione del Ministero per la Salute, del Miur, del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale; main partners sono ManpowerGroup, che da tempo lavora anche sui profili inerenti al mondo della sanità, e Microsoft Italia, in prima linea nello sviluppo e implementazione di tecnologie per la sanità digitale.
Politiche del personale, Digitalizzazione per l’innovazione dei processi di cura e Utilizzo dei Big data con finalità di analisi e programmazione sanitaria sono le tre macro-aree sulle quali lo studio si è concentrato, rivelando l’urgenza di un profondo ripensamento e rinnovamento del settore: una necessità che si interseca, in questa fase cruciale, con la disponibilità delle risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che assegna alla missione 6-Salute 15,63 miliardi che forniscono un’opportunità forse unica per un rilancio del SSN e dell’intero sistema salute, sia pubblico che privato, del Paese.
Competenze per la sanità del futuro – Fondamentale la valorizzazione del potenziale di tutti i professionisti, dagli OSS, che dovranno essere incrementati in maniera significativa, a tutti i profili sanitari, incentivandone quanto più possibile l’autonomia; un ruolo importante nella gestione delle fragilità avranno i medici della medicina territoriale, in integrazione con MMG e personale convenzionato. Importanza centrale assume la formazione, dalle scuole superiori di secondo grado agli enti formativi per la formazione degli OSS, ai corsi di laurea a indirizzo specialistico-professionale per le professioni sanitarie. Mentre sarà necessario coinvolgere sempre più gli ospedali del SSN come “strutture di insegnamento” per la formazione dei medici specializzandi. Le competenze digitali saranno fondamentali in vista dell’innovazione dei modelli di servizio prevista dal PNRR, sia formando i dipendenti del SSN che incoraggiando percorsi formativi all’interno di ITS in partnership con industria e SSN. La ricerca deve essere incoraggiata attraverso inquadramenti professionali stabili e l’assunzione di figure professionali a supporto della ricerca, così come convogliando una quota fissa del fondo sanitario nazionale per sostenere progetti di ricerca indipendente. Per quanto riguarda le competenze manageriali, lo studio propone l’istituzione di una piattaforma interregionale in capo ad Agenas orientata alla diffusione delle capacità manageriali e al benchmarking, e il rafforzamento di conoscenze solide in campi oggi non presidiati, come change management, service design, data analysis e stakeholder management.
Flessibilità nelle forme di reclutamento e impiego – Le procedure di reclutamento delle aziende sanitarie devono scuotersi da un’eccessiva lentezza, inadeguata alle esigenze di rapidità del SSN: per questo si rende necessario riscrivere la normativa concorsuale per la dirigenza e per il comparto, e adottare modalità di reclutamento differenziate, introducendo anche il contratto di formazione e lavoro e di apprendistato, così da poter lasciare spazio agli under 30 poco valorizzati dai concorsi tradizionali. La valorizzazione delle professionalità passa anche attraverso adeguate forme di inquadramento e retribuzione e premiando il merito: a tal fine la proposta è quella di permettere alle regioni di definire una percentuale del monte salariale da poter impiegare liberamente per differenziazioni salariali su profili critici, garantendo una reale attrattiva per le migliori professionalità.
Gestione e sviluppo del capitale professionale – Per quel che riguarda il management risorse umane, è fondamentale rafforzare nelle aziende le politiche di attrazione, gestione e sviluppo dei talenti e attivare processi di benchlearning interaziendale. Al contempo, sarà possibile centralizzare l’amministrazione del personale a livello interaziendale, e formalizzare un livello di contrattazione collettiva a livello regionale. Anche per quanto riguarda le politiche per l’invecchiamento del personale e il diversity management occorre, per il primo punto, adottare soluzioni di flessibilità lavorativa e percorsi di mobilità interna; per il secondo, rivedere le modalità applicative della Legge 104, anche tenendo conto delle opportunità offerte dallo smartworking. Infine, lo sviluppo del SSN non può prescindere da una classe di manager apicali in grado di affrontare la complessità, portando innovazione e in grado di soddisfare i bisogni dei pazienti/cittadini: un risultato che passa dal promuovere l’orientamento ai risultati e la qualità del top management. Un’ulteriore proposta è quella di riprogettare l’attuale apparato dei controlli e delle sanzioni.
Promuovere l’evidence based management a supporto del digitale – È necessario, tra le altre cose, stratificare la popolazione e analizzare i bisogni dei pazienti organizzati in sottogruppi di malattia. Lo studio della popolazione target associato all’analisi dei fattori ambientali e sociali può contribuire ad un patrimonio informativo di fondamentale importanza per comprendere quali approcci terapeutici adottare, e quali possono essere digitalizzati: un punto fondamentale perché il digitale non diventi mera sostituzione della modalità in presenza, e riflettere ex novo sulle caratteristiche del phygital, combinando reale e virtuale. Il monitoraggio e la misurazione del livello di digitalizzazione delle aziende sono inoltre utili per l’attivazione di forme di apprendimento reciproco e collettivo. Accanto a ciò, sono da promuovere in tutte le aziende progetti pilota che, se funzionanti in un territorio, possono fornire un modello trasferibile su tutto il territorio nazionale, a patto che l’infrastruttura tecnologica sia adeguata, moderna e soprattutto interoperabile.
Sviluppare l’infrastruttura tecnologica – L’analisi della dotazione tecnologica è fondamentale per assicurare una base tecnologica comune e abilitare possibilità di utilizzo e aggiornamento dei dati tra clinici, pazienti e manager anche in strutture diverse, anche tra pubblico e privato, tra consumi derivanti da spesa pubblica e quelli da spesa out of pocket, che riguardano il 26% delle prestazioni sanitarie e il 40% di quelle ambulatoriali. Occorre potenziare l’utilizzo delle cartelle cliniche elettroniche e del FSE, per andare verso un’integrazione di più dati – alcuni dei quali anche raccolti autonomamente dal paziente. L’interoperabilità è un altro concetto chiave per la digitalizzazione. L’attivazione di canali solidi di collaborazione tra pubblico e privato consentirebbe inoltre di arrivare alla ricerca di standard condivisi, evitando il moltiplicarsi di modelli e soluzioni. I fornitori di tecnologie mediche, ICT e case farmaceutiche dalla loro prospettiva possono senza dubbio arricchire la comprensione delle esigenze infrastrutturali: per loro natura molte iniziative imprenditoriali sono alla frontiera dell’innovazione, e il pubblico potrebbe valorizzare tali spinte generative, anche promuovendo forme più trasparenti di comunicazione delle sfide affrontate dal SSN.
Guidare il ridisegno dei modelli organizzativi e dei servizi per attuare e implementare la digitalizzazione – Occorre partire dal presupposto che il digitale non è un add-on o uno strumento alternativo per erogare il medesimo servizio, pertanto la sua progettazione richiede attenzioni diverse rispetto al disegno di un servizio tradizionale. Senza contare che occorre anche valutare quanto i professionisti della sanità siano idonei ad erogare servizi a distanza, e prevedere di conseguenza una sorta di “introduzione al digitale”, sia per i servizi amministrativi che per i processi clinici. Un approccio particolarmente apprezzato può essere quello di favorire forme di co-progettazione, coinvolgendo le comunità dei pazienti tramite le associazioni, professionisti, aziende e management, così come forme di co-produzione individuale, che si realizzano tramite la partecipazione attiva del paziente alla propria cura, ad esempio tramite l’autosomministrazione o il monitoraggio dei propri parametri vitali e trasferendoli al medico.
Rafforzare le competenze digitali – La digital literacy deve essere promossa sia a livello di singolo paziente, guidandolo all’utilizzo del digitale, che a livello generale, con azioni di comunicazione pubblica sulle potenzialità della digital health. L’accompagnamento dei cittadini al digitale potrebbe essere ottenuto anche adibendo spazi pubblici per consentire ai cittadini di accedere ai servizi online, adeguatamente supportati.
Promuovere l’utilizzo dei dati – Ingenti quantità di dati, sia amministrativi che clinici, sono disponibili da tempo, ma non sono mai stati valorizzati: comunicarli e metterli a disposizione di team di ricercatori, clinici e manager è l’unica via per estrarne informazioni utili alle decisioni. Occorre istituire ruoli chiari per la loro raccolta, codifica, analisi e interpretazione ai fini decisionali: in questo modo la cultura del dato potrà attraversare le organizzazioni nella loro totalità.
Per fare un esempio, nell’ambito della gestione delle liste di attesa, possono essere realizzate analisi sui dati delle prescrizioni e prenotazioni per prestazioni ambulatoriali al fine di identificare servizi non erogati, o doppie prime visite, per assicurare l’incontro tra domanda e offerta nei tempi massimi stabiliti a livello nazionale e regionale. La disponibilità in futuro di dati sanitari digitalizzati e standardizzati aprirà possibilità infinite e preziosissime di ricerca a livello internazionale. L’analisi dei dati potrebbe diventare parte centrale e ‘normale’ dei processi decisionali: come nella pratica clinica la scelta di adottare un’innovazione terapeutica o tecnologica si basa sempre su evidenze cliniche certificate, anche una decisione manageriale potrebbe richiedere valutazioni ricorrenti degli effetti prodotti da scelte pregresse, misurabili grazie allo studio di flussi reali o simulazioni su dati sintetici creati a partire da dati reali.
Digitalizzare i dati clinici – I dati ad oggi esistenti vanno standardizzati e digitalizzati per poter essere utili ai fini di processi di valutazione e programmazione. I dati clinici ad oggi non possono essere considerati Big, mancando dei requisiti di variabilità, grandi volumi e velocità di trasmissione: il Fascicolo Sanitario Elettronico ad oggi è un repository passivo, spesso incompleto, e non un generatore di dati. La sfida è quella di costruire un’infrastruttura unica di raccolta dati o infrastrutture interoperabili, e assieme promuovere una “cultura del dato”, facendo leva sulla sua utilità e superando pregiudizi che si tratti di prassi rischiose per la privacy. Una questione, quella della privacy, da affrontare con serietà, chiarendo le possibilità normate e legittime di utilizzo dei dati a fini di cura e ricerca.
Dati amministrativi per la clinica e la programmazione – I dati amministrativi, standardizzati e digitalizzati con largo anticipo rispetto ai dati clinici per finalità di monitoraggio e controllo finanziario sono sottoutilizzati, sia perché non ne sono note le potenzialità di utilizzo, sia perché la sicurezza e il rispetto della privacy ne limitano la possibilità di trasferimento tra regioni o verso altri Paesi. Per fare un esempio concreto della loro potenzialità, un’analisi delle schede di dimissione ospedaliera da dicembre 2019 a marzo 2020 avrebbe potuto segnalare l’aumento di polmoniti e anticipare la risposta emergenziale. È prioritario avviare progetti di ricerca in questo senso, identificando alcuni quesiti e sfide prioritarie per la sanità pubblica. Analisi statistiche su dati amministrativi e modelli predittivi della domanda e dei consumi attesi generano informazioni rilevanti sia per l’organizzazione dei servizi, sia per la programmazione sanitaria che sarà in grado di anticipare le esigenze e le attività delle strutture sanitarie e allocare quindi le risorse in modo più preciso, tempestivo ed appropriato.
Favorire la crescita di data spaces – La creazione di uno spazio europeo dei dati, anche sanitari, è una priorità della Commissione Europea per il periodo 2019 – 2025, che richiede ai Paesi membri di lavorare su tre direttrici: la creazione di una rete solida di infrastrutture interoperabili; la garanzia sulla qualità dei dati; sistemi solidi di gestione dei dati e norme per lo scambio dei dati. Centrale la questione della privacy: una nuova frontiera è costituita dai dati sintetici, generati mediante soluzioni di intelligenza artificiale che rispecchiano casistiche reali o plausibili e possono essere utilizzati per l’allenamento di algoritmi e modelli di machine learning o per studi clinici preliminari producendo risultati molto vicini a quelli ottenibili grazie all’utilizzo di dati veri, spesso non disponibili o inaccessibili.
I temi al centro del dibattito sui big data, dalla tecnologia, all’etica, alla sicurezza e alla legittimità confermano come sia un ambito in cui il contributo di molteplici prospettive ed esperti sia fondamentale per avviare progettualità efficaci e possibili.