La pandemia mette in luce nuove esigenze delle RSA e prospettive di cambiamento in vista del PNRR
Ascom UMS ha annunciato i risultati della ricerca “RSA oltre l’emergenza, la strada per l’innovazione” volta ad analizzare le sfide che le RSA si trovano ad affrontare alla luce della pandemia e le prospettive di cambiamento ed evoluzione per il futuro.
“La crisi pandemica ha reso evidenti una serie di criticità del nostro sistema sanitario e socioassistenziale. Tra queste, i focolai scoppiati in alcune RSA hanno contribuito ad accendere i riflettori su un universo troppo spesso dimenticato,” afferma Francesco Deventi, Sales Director di Ascom UMS. “Lo studio realizzato da Ipsos per conto di Ascom UMS può servire a far conoscere il mondo delle RSA al di là dell’emergenza e delle notizie di cronaca e le possibili evoluzioni future”.
Condotta dall’istituto Ipsos, la ricerca commissionata da Ascom UMS comprende un’analisi “desk”, frutto dell’integrazione di dati ufficiali disponibili da diverse fonti, e un’indagine qualitativa basata su una serie di interviste ad alcuni esponenti e decision maker di RSA di piccole, medie e grandi dimensioni.
L’analisi desk realizzata da Ipsos ha definito un quadro generale del mondo delle RSA in Italia. In mancanza di un’anagrafe nazionale univoca, è stato necessario incrociare tre fonti che nel loro insieme consentissero di fornire una fotografia quanto più vicina alla realtà.
Ciascuna di queste fonti differisce per definizione del concetto di RSA, aggiornamento dei dati e livello di dettaglio. La stima di Ipsos, mettendo a confronto i dati presi in esame, è che in Italia ci siano 3.300 RSA con, in totale, circa 300mila posti letto dedicati agli anziani, con una maggiore concentrazione al Nord rispetto al Sud. Dai dati Istat si ricava inoltre che il 54% degli ospiti ha più di 85 anni. Non stupisce, perciò, che il 79% degli anziani accolti nei presidi residenziali socioassistenziali e sociosanitari risulti non autosufficiente.
Oltre alle fonti citate sopra, l’analisi desk si è avvalsa di indagini svolte dall’Università Bocconi – Gruppo CERGAS e dal Politecnico di Milano, che hanno individuato alcune delle principali difficoltà che le RSA si trovano ad affrontare sul fronte organizzativo e finanziario. In particolare, si evidenziano regole di accesso e di funzionamento variabili ed eterogenee di regione in regione, con un sistema di finanziamento pubblico inadeguato, e la riduzione complessiva della qualità dell’assistenza derivante dai tagli al personale specializzato e alla manutenzione delle strutture effettuati per contenere i costi.
L’indagine qualitativa, condotta da Ipsos attraverso testimonianze raccolte sul campo, si è invece focalizzata sull’impatto che la pandemia ha prodotto sulle RSA dal punto di vista emotivo, pratico-organizzativo, economico e tecnologico. La lentezza nell’intervento delle istituzioni, i picchi di contagi che hanno coinvolto ospiti e operatori, l’esplosione dei costi dovuti all’acquisto di DPI e alle nuove procedure di sanificazione, l’apertura di concorsi per l’assunzione negli ospedali che hanno sottratto medici e infermieri e la pretesa che le residenze potessero accogliere e gestire pazienti positivi al Covid-19 sono solo alcuni dei problemi che le RSA si sono trovate ad affrontare. In questo contesto, il personale ha dovuto sostenere un forte stress emotivo, mentre gli ospiti vivevano con angoscia il timore del contagio.
Sotto il profilo pratico-organizzativo, è stato necessario mettere in atto procedure e accorgimenti volti a prevenire e monitorare la diffusione del virus. In particolare, gli interventi hanno dovuto seguire la logica di un’offerta assistenziale individualizzata per singolo paziente. Il monitoraggio dei parametri vitali, ritenuto fino a prima del Coronavirus di pertinenza esclusiva dei presidi sanitari, è diventata un’esigenza per tutelare ospiti e personale. Gli operatori hanno inoltre dovuto svolgere sessioni di training ad hoc sull’uso dei DPI e sui comportamenti corretti da adottare per limitare i rischi di contagio. Infine, i modelli di sanificazione delle attrezzature e degli ambienti sono stati esaminati e ridefiniti alla luce delle normative specifiche in materia.
Anche l’impatto economico è stato significativo. Il Covid-19 ha comportato il ricorso a fondi accantonati per le emergenze e ha inciso pesantemente sui bilanci a causa dell’aumento del costo dei DPI e degli interventi di sanificazione. L’assistenza individualizzata, inoltre, ha generato un aggravio nelle spese per il personale impiegato su vari fronti: distribuzione dei pasti, attività riabilitative, interventi sociali ed educativi, interventi di tipo psicologico ecc. A tutto questo si sono aggiunti i mancati guadagni per l’incidenza degli ospiti deceduti e per il venir meno delle nuove richieste di ingresso a causa del timore del rischio di contagio e della paura di non poter far visita ai propri familiari una volta accolti nelle RSA.
Analogamente ad altri settori, la pandemia ha per contro determinato un impatto positivo sulla diffusione di alcune tecnologie che si presume resteranno anche nel next normal. Tra queste, le soluzioni digitali che abilitano lo smart working hanno permesso al personale amministrativo di continuare a lavorare a distanza, mentre la comunicazione tra ospiti e familiari è stata assicurata tramite le videochiamate e l’utilizzo di tablet anche durante i lockdown. In alcune strutture, principalmente laddove era già presente la cartella clinica elettronica, si è fatto ricorso alla telemedicina mediante consulenze specialistiche e refertazione da remoto.
Nello scenario del next normal, alla luce degli effetti prodotti dall’emergenza pandemica, l’analisi qualitativa commissionata da Ascom UMS traccia alcuni principali bisogni evidenziati dalle RSA intervistate e individua possibili soluzioni nell’ambito della disponibilità di risorse, tecnologie e nuove modalità di interazione tra ospiti e familiari.
Al primo posto si colloca l’esigenza di ottimizzare ed efficientare i processi di assistenza e cura e delle risorse, nel rispetto delle normative regionali circa il rapporto ospiti e operatori, per far fronte alla carenza di personale infermieristico e medico, dedicato a cura e assistenza, causata dall’apertura di concorsi nella PA che hanno drenato risorse convogliandole verso gli ospedali.
L’ottimizzazione e l’efficientamento dei processi consente di far leva su soluzioni che velocizzino e semplifichino l’esecuzione delle attività di assistenza e di sollevare il personale da compiti non legati all’assistenza. Gli esempi al riguardo sono diversi. Si va dall’esternalizzazione di attività non principali alla ricezione e preparazione “automatizzata” dei farmaci. La possibilità di ricevere, infatti, direttamente in reparto la terapia che il singolo paziente deve assumere in un blister/bustina sigillati genera un risparmio di tempo nella preparazione delle terapie, limita il rischio di errore e consente lo svolgimento di questo compito da operatori sociosanitari o socioassistenziali anziché da infermieri.
Il Covid-19 ha reso ancora più evidente la necessità di preservare la salute e la sicurezza dell’ospite e di garantire un intervento tempestivo in caso di necessità. Secondo gli intervistati che hanno partecipato all’indagine, questa esigenza richiede un più diffuso utilizzo di sistemi di telemedicina per la consultazione e refertazione da remoto, applicazioni software per la riabilitazione e il mantenimento cognitivo, e soluzioni per ridurre il rischio di contagio. Si possono adottare, ad esempio, sensori per la rilevazione dei parametri vitali non invasivi per il paziente e, contemporaneamente, interconnessi con la cartella clinica elettronica. La sensoristica, con applicazioni specifiche predisposte all’interno della stanza o sul letto dell’ospite, servirebbe a segnalare con un allarme ciò che accade anche durante le ore notturne, sollevando così il personale da compiti assistenziali di loro pertinenza.
L’integrazione di questi sistemi con la cartella clinica elettronica consentirebbe di avere un aggiornamento costante delle informazioni sulle condizioni di salute del paziente, a beneficio sia degli operatori sia dei familiari.
Più marginalmente emerge il bisogno di sensori per rilevare fenomeni quali il “no movement”, nel caso di immobilità prolungata e ingiustificata, e il “man down”, qualora il paziente si trovi da solo e sia caduto, considerati da alcuni utili all’interno delle RSA oppure nell’assistenza domiciliare e negli alloggi protetti.
Al terzo posto, infine, si evidenzia l’esigenza di garantire nuove modalità di relazione tra l’ospite e i familiari tutelando entrambi, per far fronte alle difficoltà di interazione dovute alle restrizioni volte a prevenire il contagio.
Questo implica l’evoluzione della semplice videochiamata tra paziente e familiare, che in molte strutture ha sopperito all’impossibilità dei contatti in presenza, verso l’utilizzo di sistemi multimediali che facilitino l’interazione tra il residente e la famiglia e rassicurino i congiunti anche a distanza. Ad esempio, soluzioni con le quali i familiari possano vedere in tempo reale alcuni parametri di vita quotidiana dell’ospite, consultare la stessa cartella clinica informatizzata o guardare video caricati su un portale web e consultabili soltanto dai parenti.
Per le visite in presenza, invece, le modifiche strutturali con la creazione di spazi in cui familiari e ospite si possano incontrare in sicurezza o postazioni schermate munite di interfono consentirebbero di comunicare senza mettere a rischio la salute degli interlocutori.
Secondo quanto emerso dall’indagine qualitativa, infine, la maggior parte delle RSA prese in esame non è propensa a voler fare nuovi investimenti nella trasformazione digitale, a eccezione di alcuni grandi gruppi che stanno valutando l’introduzione della cartella clinica elettronica. L’aumento delle spese dovute al Covid-19 e le mancate entrate derivanti dal calo degli accessi costituiscono un deterrente sulla strada della digitalizzazione, o comunque una preoccupazione rispetto alla quale una proposta di innovazione tecnologica deve necessariamente dimostrare la sua capacità di consentire un efficientamento delle risorse e dei processi, oltre che un conseguente vantaggio economico e l’integrabilità con le tecnologie già presenti nelle strutture.
I fondi destinati dal PNRR al nostro Paese potrebbero tuttavia rappresentare una leva per la trasformazione. Le linee guida del PNRR suggeriscono un ridisegno organizzativo e strutturale delle RSA, che dovranno avvalersi della tecnologia per essere accompagnate in questo percorso, prevedendo un legame sempre più stretto tra assistenza e cura dentro le strutture e assistenza e cura a livello domiciliare. A fare da collante certamente occorrerà una dotazione digitale che risponda ai bisogni manifestati dagli operatori di settore nell’ottica di un maggiore efficientamento dei processi e di un’ottimizzazione delle risorse.
“Le RSA che nel next normal implementeranno queste innovazioni, cambiando pelle in base ai tanti spunti raccolti dall’indagine qualitativa, riusciranno a intraprendere quella strada verso la resilienza che purtroppo è mancata dinanzi alla crisi pandemica, ma che adesso è doveroso intraprendere” conclude Deventi.