La rivista “Nature Communications” ha pubblicato i risultati di una ricerca internazionale a cui ha partecipato il professor Giovanni Meola, direttore della UOC di Neurologia – Stroke Unit e del Centro Neuromuscolare, IRCCS Policlinico San Donato, sul meccanismo che sta alla base della differenza nella sintomatologia della distrofia miotonica di tipo 2 rispetto a quella di tipo 1.
Le distrofie miotoniche di tipo 1 e 2 rappresentano le distrofie muscolari più frequenti nell’adulto, sebbene siano classificate come malattie rare, interessando non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti. Ancora poco note agli operatori sanitari, sia per la loro identificazione relativamente recente sia per la varietà dei sintomi con cui si manifestano, entrambe le malattie si basano su una produzione di mRNA eccessiva: questo non riesce ad uscire dal nucleo cellulare e vi si accumula, determinando un effetto tossico che limita la possibilità di produrre altre proteine essenziali al corretto funzionamento cellulare. Ad oggi tuttavia non erano chiari i motivi alla base delle differenze nell’evoluzione e nel quadro dei sintomi delle due patologie, svelati dallo studio pubblicato su Nature Communications.
Spiega il professor Giovanni Meola, direttore della UOC di Neurologia – Stroke Unit e del Centro Neuromuscolare, IRCCS Policlinico San Donato: “Nel modello animale della drosofila, particolarmente adatto alla valutazione delle patologie genetiche, si è evidenziato che una proteina, chiamata rbFOX1, si lega maggiormente alla tetrapletta CCUG RNA, implicata nella distrofia miotonica di tipo 2, rispetto alla tripletta CUG RNA, implicata invece nella distrofia miotonica di tipo 1. La proteina rbFOX1 svolge un’azione “competitiva” soltanto verso la tetrapletta presente nella distrofia miotonica di tipo 2, permettendone una parziale liberazione. Questo minore accumulo di RNA tossico corregge la produzione di diverse altre proteine, implicate nella compromissione multisistemica della malattia, e ha quindi come effetto positivo, nel modello del moscerino della frutta, un parziale recupero dell’atrofia muscolare e dei difetti locomotori. Questo importante risultato nella comprensione dei meccanismi cellulari della distrofia miotonica di tipo 2 spiega il quadro clinico di compromissione muscolare più lieve nella patologia umana e apre la via ad altre ricerche che punteranno a potenziare ulteriormente l’effetto della proteina rbFOX1 e ad utilizzarla per contrastare i sintomi di entrambe le malattie.”
Le distrofie miotoniche di tipo 1 e 2 sono patologie genetiche e multisistemiche che colpiscono in primis l’apparato muscolo scheletrico ed attaccano in varia misura, a seconda delle forme, anche il sistema cardiovascolare, il corpo vitreo dell’occhio, le ghiandole sessuali, il sistema endocrino, la muscolatura involontaria e il sistema nervoso centrale.
In particolare, la distrofia miotonica di tipo 1, nota anche come Malattia di Steinert, è una malattia ereditaria che si manifesta in maniera aggressiva e che porta a una progressiva compromissione a livello cerebrale, con importanti conseguenze nella sfera fisica e relazionale.
Nella distrofia miotonica di tipo 2, detta anche PROMM, i sintomi sono più lievi e la compromissione cerebrale è, pur se ugualmente presente, meno evidente.