Uno degli strumenti usati per combattere il dilagare dell’epidemia da Covid-19, oltre al tracciamento dei positivi e al loro isolamento, è stato il lockdown, ma quanto sono state efficaci in Italia le chiusure nel contenimento del virus? Team di ricercatori dell’Università di Padova, utilizzando nuove e sofisticate tecniche di intelligenza artificiale, ha ricostruitocon accuratezza l’influenzache hanno avuto le restrizioni sul comportamento degli italiani. Lo studio “Tracking the time course of reproduction numberand lockdown’s effect on human behaviour during SARS-CoV-2 epidemic:ìnonparametric estimation” e pubblicato in questi giorni su «ScientificReports» ha dimostrato come il distanziamento sociale e la consapevolezza del rischio di infezione siano aumentati giorno dopo giorno nei primi mesi del 2020, permettendo di controllare l’epidemia. «Il lavoro dimostra però anche come questo livello di consapevolezza tenda a diminuire velocemente non appena alcune restrizioni vengono tolte – spiega il prof. Gianluigi Pillonetto, Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Padova e primo autore dello studio -. Ciò si è verificato dapprima nell’agosto 2020, stagione in cui l’adozione di misure di distanziamento sociale e l’uso di precauzioni come mascherine è molto diminuito a causa del relax degli italiani durante le vacanze, in particolare nella popolazione più giovane, e poi alla metà di ottobre 2020, a causa del ritorno nelle scuole enei luoghi chiusi di lavoro. Questi fenomeni sono stati purtroppo la chiave per innescare la seconda ondata».
Lo studio mostra che i dati giornalieri sul numero di persone ricoverate in terapia intensiva in Italia a causa del Covid-19 sono i più informativi per capire come realmente evolve l’epidemia. Esso inoltre rivela che il numero reale di soggetti infettati tende ad essere sottostimato significativamente anche dai test sugli anticorpi.
Questo suggerisce che nelle persone colpite da COVID-19, in particolare negli asintomatici, il livello di anticorpi potrebbe essere scarsamente rilevabile e scendere piuttosto rapidamente, anche dopo pochi mesi. «Lo studio sierologico di popolazione condotto in Italia utilizzandola prima generazione di test con alta sensibilità e specificità mostrava a metà dello scorso anno che il 2.5% degli italiani aveva contratto il virus. Il nostro studio stima invece una percentuale almeno doppia, attorno al 5%,non escludendo che potesse già arrivare al 12% nella metà del 2020 – continua Pillonetto -. Una conseguenza di questo risultato è che la letalità da COVID-19 può risultare molto sovrastimata. Nel 2020, utilizzandosolo il numero di morti e il numero di casi positivi diagnosticati con il tampone rinofaringeo, la letalità risultava attorno al 14%. Questo nostro nuovo approccio basato sull’intelligenza artificiale conduce invece a una nuova stima che si aggira attorno all’1%, un valore di letalità certamente più vicino a quello riportato da studi che hanno effettuato una valutazione accurata della prevalenza dell’infezione da SARS-CoV-2. D’altro canto è difficile testare con tamponi sia molecolari sia antigenici la popolazione dei soggetti asintomatici o paucisintomatici e ancor più tracciare i contatti dei positivi quando l’incidenza dell’infezione eccede 50 casi settimanali su 100.000 residenti. È quindi possibile che in una situazione a medio-alta incidenza, quando ad esempio i tamponi rivelano 1.000 nuovi soggetti infettati al giorno, il vero numero possa invece aggirarsi attorno ai 14.000.»