Come è ormai noto, la pandemia di COVID-19 è causata da un coronavirus oggi ufficialmente denominato SARS-CoV-2. I coronavirus sono una grande famiglia di virus e, dopo il SARS-CoV e il MERS-CoV, negli ultimi 20 anni il SARS-CoV-2 è il terzo coronavirus a compiere un salto di specie e diffondersi nelle popolazioni umane. Si ritiene infatti che, come i due precedenti coronavirus, anche il SARS-CoV-2 abbia avuto origine nei pipistrelli e da questi animali sia arrivato, direttamente o indirettamente, a infettare l’uomo. Le origini di un virus sono scritte, almeno in parte, nel suo genoma, un RNA a filamento positivo nel caso dei coronavirus. Quindi, confrontando i genomi di altri coronavirus, si è potuto stabilire che i parenti più stretti del SARS-CoV-2 sono virus isolati da pipistrelli della specie Rhinolophus affinis. Altri virus simili al SARS-CoV-2 sono stati identificati nei pangolini, mammiferi spesso contrabbandati in Cina per le loro scaglie e la loro carne.

Chiaramente, nel genoma virale sono anche scritte le informazioni che consentono al virus di infettare la cellula dell’ospite e di moltiplicarsi.  Nello studio pubblicato su Infection, Genetics and Evolution i ricercatori del laboratorio di biologia computazionale dell’istituto scientifico Eugenio Medea si sono quindi concentrati sul confronto tra il genoma di SARS-CoV-2 e quelli dei virus di pipistrelli e pangolini.
Innanzitutto hanno dimostrato che, come precedentemente ipotizzato, questi virus evolvono anche grazie alla ricombinazione, cioè lo scambio di materiale genetico. Inoltre hanno identificato una regione del genoma virale che assume una conformazione tridimensionale conservata e, verosimilmente, svolge un ruolo regolatorio. Questo è in linea con quanto noto per altri virus che usano il proprio RNA non solo per codificare proteine, ma anche per formare elementi strutturali che consentono loro di sfuggire al controllo del sistema immunitario dell’ospite e regolare la propria replicazione.

I coronavirus codificano per un numero variabile di proteine accessorie, che differiscono anche tra coronavirus filogeneticamente vicini e spesso contribuiscono alla modulazione della risposta immunitaria e alla virulenza. Analizzando il genoma di SARS-CoV-2 e di virus simili i ricercatori hanno identificato alcune proteine accessorie che non sono state fino ad ora descritte o caratterizzate in altri coronavirus. Le caratteristiche di una di queste, chiamata proteina 3h, suggeriscono che possa avere la funzione di viroporina, cioè che possa formare pori nelle membrane cellulari. Un’altra proteina che probabilmente si localizza in membrana, la proteina p10, è probabilmente codificata solo da SARS-CoV-2 e dai virus simili che infettano pipistrelli e pangolini, ma non dalla grande maggioranza degli altri coronavirus, incluso quello che causa la SARS.

“Chiaramente sarà necessario verificare che queste proteine siano effettivamente prodotte dal virus quando infetta le nostre cellule” – affermano i ricercatori – “certamente comprendere quali proteine vengano espresse da questo virus, di cui sappiamo ancora così poco, è fondamentale per capire come interagisca il nostro sistema immunitario e per individuare dei target per i farmaci antivirali”.

Dal 2002, quando emerse in Cina, molti ricercatori hanno studiato il virus della SARS. Quanto sappiamo oggi su COVID-19 deriva in gran parte da questi studi, perché i virus che causano le due malattie sono relativamente simili e appartengono alla stessa famiglia. E’ ora necessario comprendere quali caratteristiche specifiche di SARS-CoV-2 lo rendano così contagioso e quali approcci possano essere utilizzati per impedire l’infezione e curare chi si ammala. Il confronto tra genomi virali e la caratterizzazione del potenziale codificante rappresentano primi passi in questa direzione.