È il secondo tumore della pelle non melanomatoso per incidenza ma il primo per mortalità. Facilmente gestibile nelle forme precoci, diventa particolarmente difficile da trattare nelle forme avanzate, tanto da rappresentare una vera e propria sfida in termini terapeutici. È il carcinoma cutaneo a cellule squamose, un tumore della pelle particolarmente aggressivo in fase avanzata o metastatica, con un notevole impatto sulla qualità di vita dei pazienti, una elevata morbidità e mortalità e una sopravvivenza media limitata, inferiore a 2 anni.

Il carcinoma a cellule squamose colpisce zone molto esposte alla luce e anche molto visibili, come cuoio cappelluto, viso, orecchie, collo, braccia o gambe. Se non trattato, progredisce con lesioni sempre più grandi e profonde che possono avere un impatto fortemente negativo sulla qualità di vita dei pazienti. Le modifiche all’aspetto fisico, dovute al tumore stesso oppure agli interventi chirurgici effettuati per rimuoverlo, possono infatti portare a sentimenti negativi, come mancanza di fiducia in se stessi, poca autostima, difficoltà nelle interazioni sociali, ansia e isolamento sociale.

“Prevenire e diagnosticare tempestivamente anche gli stadi localmente avanzati della patologia permette di intervenire ed evitare la sua rapida progressione,” commenta Iris Zalaudek, Direttrice della Clinica Dermatologica dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste e Presidente dell’International Dermoscopy Society. “Grazie al progresso in diagnostica, oggi è possibile intervenire immediatamente attraverso l’asportazione chirurgica degli stadi iniziali o implementare strategie terapeutiche corrette negli stadi avanzati: la dermatoscopia consiste infatti in un esame non invasivo che consente di identificare i criteri morfologici altrimenti non visibili a occhio nudo e di intervenire in una fase molto precoce, quando un semplice intervento è curativo.”

Chirurgia e radioterapia a scopo curativo, spesso risolutive nelle fasi precoci, non possono tuttavia contrastare efficacemente quel 3% di casi in cui la malattia avanza a livello locale oppure presenta metastasi. In queste fasi avanzate di malattia, dall’incidenza di un tumore raro, a causa dello stato di salute dei pazienti o perché la rimozione chirurgica risulterebbe sfigurante, non esisteva fino a poco tempo fa uno standard di cura efficace.

Ecco che oggi è possibile affidarsi alle nuove prospettive offerte dall’immuno-oncologia, quel ramo dell’oncologia che attiva e stimola il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Una vera e propria svolta terapeutica per quei pazienti che non hanno risposte efficaci.

“Le soluzioni terapeutiche immuno-oncologiche, che agiscono bloccando il percorso di segnalazione della proteina PD-1, consentono al sistema immunitario del paziente di attaccare le cellule tumorali,” sottolinea Paolo Bossi, Professore di Oncologia Medica, Università di Brescia. “Si tratta di una vera e propria svolta in termini terapeutici perché presenta dei miglioramenti significativi nel tasso di risposta al trattamento e della durata della risposta nel tempo.”

Negli ultimi anni le terapie immunologiche hanno dimostrato la loro efficacia soprattutto per quanto riguarda i tumori della pelle poiché, legandosi con le proteine PD-1, possono portare all’attivazione dei linfociti T, consentendo così al sistema immunitario stesso la distruzione della cellula cancerosa, e quindi la loro proliferazione. Gli inibitori di questo tipo di proteine hanno dimostrato inoltre una particolare efficacia nei tipi di tumore ad alto tasso di mutazione: il carcinoma cutaneo a cellule squamose in questo senso ha il più alto tasso di mutazione di qualsiasi altro tipo di tumore.

Si tratta di una patologia che, anche senza trattamenti efficaci nella fase avanzata, ha un impatto importante anche dal punto di vista economico sul Sistema Sanitario Nazionale.

“Grazie all’analisi dell’Economic Evaluation and HTA, è stato possibile stimare il costo sostenuto dal nostro Sistema Sanitario Nazionale per la gestione ed il trattamento dei nuovi pazienti con diagnosi di CSCC in Italia,” dichiara Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria Università di Roma Tor Vergata. “I risultati mostrano costi medi stimati a paziente avanzato di circa 3.300 euro all’anno, pari al il 36% in più rispetto a un paziente con CSCC resecabile chirurgicamente. Una corretta identificazione e monitoraggio della patologia consentirebbe, quindi, una gestione precoce dei pazienti, così da poterli curare con trattamenti innovativi ed efficaci in grado di migliorare la loro salute e permettere al Sistema Sanitario Nazionale di gestire efficacemente nel tempo, i costi”.