Esperimento ZePrion: nello spazio per “fotografare” le proteine
Fra circa sei mesi, un esperimento di biologia strutturale di cui UniTrento è capofila, prenderà la via dello spazio. L’obiettivo, è quello di osservare un fenomeno che il team di ricercatori è riuscito a predire al computer, una predizione che ha prodotto un’importante novità nella farmacologia e che sarà ora indagata in modo diretto.
Negli ultimi anni, un team internazionale guidato da ricercatori e ricercatrici di UniTrento ha sviluppato infatti un protocollo innovativo per la scoperta di nuovi potenziali farmaci denominato “Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting”.
Un approccio nuovo che consiste nell’identificare piccole molecole in grado di bloccare il processo di ripiegamento di una proteina coinvolta in un processo patologico. Le proteine sono infatti prodotte da lunghe catene di aminoacidi, sequenze che si ripiegano su sé stesse fino ad acquisire una determinata forma. Mentre la farmacologia tradizionale agisce sulle proteine quando questo ripiegamento è ultimato, il protocollo PPI-FIT consente di intervenire prima che il folding si compia, dunque prima che le proteine abbiano preso forma.
Un metodo che ha aperto a novità rilevanti per la produzione di farmaci, ma che mantiene ad oggi una zona d’ombra ancora da indagare, una mancanza di evidenze dirette che potrebbe presto essere illuminata grazie ad un viaggio nello spazio.
«Abbiamo molte evidenze sperimentali indirette che il nostro metodo funziona – spiega il fisico di UniTrento Pietro Faccioli – vediamo cioè che gli effetti della nostra azione sono proprio quelli che ci aspettiamo. Però non siamo in grado di osservare sperimentalmente i passaggi attraverso i quali il nostro intervento si compie, perché sulla terra le condizioni non consentono di cristallizzare e dunque osservare gli stadi intermedi del ripiegamento di una proteina. In assenza di queste osservazioni, dobbiamo affidarci alle nostre simulazioni al computer».
Il nuovo protocollo si basa infatti su algoritmi che riescono a simulare il ripiegamento delle proteine e a dimostrare come, grazie all’utilizzo di molecole che interrompono questo processo, il ripiegamento viene effettivamente interrotto. Ciò che manca, è la possibilità di osservare questo processo attraverso una prova strutturale basata su un esperimento biofisico. Per riuscire a farlo, il team di ricerca coordinato da UniTrento ha messo a punto un esperimento di biologia strutturale denominato ZePrion, che per essere realizzato richiede però condizioni di microgravità impossibili da ottenere sulla terra.
«Idealmente – chiarisce il biochimico Emiliano Biasini – vorremmo “fotografare” la proteina bersaglio che, bloccata dalla nostra molecola, si trova in uno stato di ripiegamento parziale. Questo risultato rappresenterebbe infatti la dimostrazione definitiva del principio su cui si basa PPI-FIT e dell’accuratezza delle nostre predizioni».
«Diversi studi hanno mostrato che l’assenza di gravità comporta vantaggi in questo tipo di esperimenti di cristallizzazione», aggiunge il biofisico Graziano Lolli.
Una possibilità di cui sono convinti anche gli israeliani della missione spaziale Rakia, prevista per gennaio 2022 sulla Stazione Internazionale Orbitante. Tra gli obbiettivi scientifici della missione è stato infatti inserito proprio l’esperimento ZePrion, che verrà compiuto grazie ad una tecnologia sviluppata dall’azienda istraeliana Space Pharma, che ha costruito un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura, che verrà trasportato e montato sulla Iss e manovrato in remoto dalla terra.