La prevalenza dei casi sommersi di Epatite C, ossia quei pazienti che hanno contratto l’infezione ma non ne sono ancora a conoscenza, è maggiore nella fascia d’età compresa fra i 50 e 70 anni rispetto alle fasce più giovanili, in particolare quella compresa fra i 30 e 50 anni, oggetto del programma nazionale di screening dell’HCV, attualmente concentrato nella ricerca del sommerso solo nei soggetti nati tra il 1969 e il 1989. È quanto emerge dai risultati preliminari di uno studio osservazionale-prospettico dell’Ospedale San Giuseppe di Milano – Gruppo MultiMedica pubblicati su “Liver International”. Il progetto di ricerca “HCV Free Hospital”, avviato a febbraio 2021 e che si concluderà alla fine del 2022, è volto alla ricerca degli anticorpi anti-HCV nei pazienti ricoverati o degenti in day-hospital presso il nosocomio milanese.
Prevedendo anche un percorso dedicato di presa in carico e trattamento presso l’Unità di Epatologia dell’Ospedale, lo studio si inserisce nell’ambito delle iniziative volte al raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di eliminazione del virus dal pianeta entro il 2030. “Ci siamo fatti promotori di un progetto ambizioso, volto all’identificazione e cura di tutti i pazienti con infezione da HCV ricoverati nei nostri reparti, perché oggi abbiamo gli strumenti per farlo con trattamenti estremante efficaci e quasi del tutto privi di effetti avversi”, spiega Mariagrazia Rumi, Responsabile U.O. di Epatologia presso l’Ospedale San Giuseppe – Gruppo MultiMedica e corresponding author dello studio.
Per raggiungere l’obiettivo dell’OMS, fondamentale sarà intercettare i numerosi casi di sommerso, solo in Italia stimanti intorno ai 280.000 soggetti. A tal proposito, i dati emersi dallo studio del San Giuseppe – Gruppo MultiMedica sulla prevalenza dell’infezione attiva sconosciuta nelle diverse fasce d’età sono particolarmente interessanti alla luce del programma nazionale di screening dell’HCV. Secondo l’indagine milanese, che ad un anno dall’avvio ha testato complessivamente circa 5.000 pazienti, di cui 1.498 nella fascia di età 32-51 anni, la prevalenza di infezione attiva sconosciuta da HCV nei nati tra il 69 e l’89 è pari allo 0.07%. Considerando che la popolazione italiana tra i 32 e i 51 anni è di circa 35 milioni di persone, il numero stimato di soggetti con infezione attiva sconosciuta potrebbe essere di circa 25.000, che è ben lontano dalle stime nazionali sul reale peso del sommerso.
“I nostri risultati mostrano, però, che non limitando l’analisi ai soli soggetti di età compresa tra i 32 ed i 51 anni, e considerando gli individui nati tra il 1948 e il 1968, la prevalenza di infezione attiva sconosciuta sale allo 0,23%. Pertanto, un’estensione dello screening a gruppi di età più avanzata consentirebbe di far emergere una più elevata quota di soggetti con infezione da HCV epermetterebbe di massimizzare l’intervento di screening sulla popolazione”, commenta la professoressa Rumi.
Quando si parla di HCV, tuttavia, il problema del sommerso sembra non essere l’unica criticità. I dati preliminari dell’indagine dell’Ospedale San Giuseppe – Gruppo MultiMedica mostrerebbero anche una quota considerevole di soggetti che, pur sapendo di essere portatori dell’infezione HCV, non hanno mai intrapreso un percorso per la sua eliminazione. “L’obiettivo del nostro studio è, quindi, non solo quello di contribuire all’identificazione e alla cura del ‘sommerso’, i soggetti portatori di infezione non ancora diagnosticata, ma anche del cosiddetto ‘emerso non riconosciuto’, persone che pur sapendo di essere positive al virus non hanno mai intrapreso un percorso terapeutico”, conclude la professoressa Rumi.