Dell’epatite C gli italiani sanno poco e, anche quando pensano di sapere, troppo spesso si tratta di informazioni errate o fuorvianti. D’altronde, come emerge da un’indagine Doxa Pharma – Gilead Sciences, il 64% degli italiani over 30 sa poco o nulla della patologia mentre, del 36% che si definisce conoscitore delle Epatite C, solo il 4% afferma di sapere bene di cosa si tratti. Un vuoto conoscitivo che potrebbe esporre le persone a occasioni di contagio: il 63% degli intervistati non è in grado di definire spontaneamente i comportamenti a rischio, il 64% non conosce quelle patologie correlate all’epatite C che possono essere considerate campanelli di allarme della malattia. Anche il test per individuare la presenza del virus HCV non risulta particolarmente diffuso: il 73% degli italiani over 30 non lo ha mai fatto, e tra questi si riscontrano soprattutto gli over 60enni che invece rappresentano una delle fasce di popolazione maggiormente a rischio di epatite C. Il 27% degli italiani che si è invece sottoposto al test lo ha fatto principalmente per esami di routine sul lavoro o per altri accertamenti e controlli. Infine, quasi la metà del campione non sa se la patologia si possa curare o meno, e il 9% pensa che sia impossibile da curare.

Non è tempo quindi di abbassare la guardia. Sensibilizzare la popolazione, diffondere una corretta informazione sull’epatite C, sui fattori di rischio, sul test per diagnosticarla e far sapere che oggi è una patologia da cui si può guarire sono gli obiettivi della campagna C come curabile, promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di associazioni pazienti, società scientifiche e enti operanti nell’area delle malattie infettive, lanciata nel 2020.

Obiettivi che diventano sempre più urgenti e importanti in vista dell’attuazione del decreto Milleproroghe, che, con uno stanziamento di 71,5 milioni di euro, consentirà di effettuare il test HCV gratuitamente alle persone nate tra il 1969 e il 1989, alle persone seguite dai SerD e ai detenuti nelle carceri.

La campagna C come curabile scende quindi nuovamente in campo con un video di sensibilizzazione e una campagna UGC realizzati in collaborazione con la community FriendZ Enterprise, la tech company italiana specializzata nel consumer-driven marketing e nell’attivazione di community online. Attraverso il concept “Non puoi ricordarti tutto quello che hai fatto nel passato” le persone saranno sensibilizzate sui diversi fattori di rischio dell’epatite C e invitate a fare il test.

“Non bisogna smettere di parlare di epatite C, anzi. È bene continuare a fare informazione sui comportamenti a rischio”, dichiara la Prof.ssa Alessandra Mangia; responsabile dell’Unità di Epatologia presso l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico “Casa sollievo della sofferenza” di San Giovanni Rotondo (FG).

Dall’indagine Doxa Pharma – Gilead Sciences emerge infatti una scarsa conoscenza dei fattori di rischio, tra cui rientrano ad esempio piercing o tatuaggi effettuati in un ambiente non sterile, o la condivisione di oggetti per la cura personale come rasoi, spazzolini o strumenti per la manicure/pedicure.

Tra i meno sensibilizzati risultano gli over 60, che invece rappresentano una delle fasce di popolazione a maggior rischio di epatite C. “Solo negli anni 90 dopo la scoperta dell’HCV abbiamo iniziato ad utilizzare protocolli di verifica sul sangue donato e infuso. Ciò ha drasticamente portato ad un calo delle infezioni”, prosegue la Professoressa Alessandra Mangia. “Ecco perché è fondamentale che anche gli over 50 siano sensibilizzati a fare il test e, in caso di positività, inizino un percorso terapeutico”.

La diagnosi permette di agire tempestivamente e di eradicare l’infezione. Oggi la terapia dell’epatite C prevede l’utilizzo di farmaci che agiscono direttamente sul virus, permettendone l’eliminazione nella quasi totalità dei casi. Disponibili in Italia dal dicembre 2014, i nuovi trattamenti hanno rivoluzionato le prospettive terapeutiche dei pazienti affetti da epatite C.

Un’opportunità importante che i pazienti devono cogliere il prima possibile. L’epatite C è una malattia silente, che lavora nell’organismo per anni prima di dare segni della sua presenza, ma ci sono alcune condizioni ad essa correlate che dovrebbero far scattare un campanello d’allarme e che purtroppo, come sottolinea ancora la ricerca Doxa Pharma – Gilead Sciences, non sono conosciute. “Ci sono dei segnali, come l’aumento delle transaminasi o alcune patologie renali o il diabete, che dovrebbero mettere in allarme e portare le persone ad eseguire un test per l’HCV. Soprattutto negli over 50”, conclude la Prof.ssa Alessandra Mangia.

Per raggiungere l’obiettivo dell’eradicazione dell’infezione entro il 2030 stabilito dall’OMS è necessario intercettare tutte le popolazioni a maggior rischio, anche coloro che non sanno di esserlo. “L’impegno decennale di Gilead Sciences nell’area delle epatiti virali e in particolare dell’epatite C si traduce non solo in ricerca e sviluppo, dove l’azienda continua incessantemente ad investire con l’obiettivo di raggiungere e superare sempre nuovi traguardi, ma anche in termini di soluzioni al di fuori dell’ambito strettamente farmacologico, volte a migliorare la vita delle persone con queste patologie, di cui è un esempio la campagna di sensibilizzazione C come curabile”dichiara Cristina Le Grazie, Executive Director Medical Affairs di Gilead Sciences.