Oggi distinguono meglio i dettagli e riescono a muoversi con fiducia negli ambienti poco illuminati, senza timore di inciampare negli oggetti: un fratellino e una sorellina di 8 e 3 anni, affetti dalla stessa forma di distrofia retinica ereditaria, hanno riacquistato importanti capacità visive in seguito al trattamento con terapia genica. Gli interventi sono stati eseguiti in collaborazione dalle unità di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nell’ambito di un progetto avviato nel 2021 per la gestione comune di pazienti pediatrici e adulti affetti da degenerazioni retiniche ereditarie. La bambina che ha riacquistato la vista è la più giovane paziente in Italia ad aver ricevuto questo trattamento.

Nel 2021 l’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato la terapia genica voretigene neparvovec sviluppata da Novartis per il trattamento in pazienti adulti e pediatrici di rare forme di distrofia ereditaria della retina. Si tratta di quelle forme causate da mutazione di entrambe le copie del gene RPE65, responsabile della produzione di una proteina chiave nel processo di conversione della luce in segnale elettrico nella retina.

La più nota tra le distrofie retiniche a trasmissione ereditaria è la retinite pigmentosa da cui erano affetti nella forma più precoce i due fratellini trattati. La retinite pigmentosa può essere causata dalla mutazione di circa 100 geni implicati nei meccanismi della visione.

Uno di questi geni è l’RPE65, le cui mutazioni sulle due copie del gene sono molto rare e interessano circa 1 persona su 200mila nel mondo. In base a degli studi di prevalenza si stima che in Italia i soggetti coinvolti siano tra 100 e 120. I pazienti hanno problemi di scarsa visione notturna, di restringimento del campo visivo e possono manifestare una grave e progressiva riduzione della capacità visiva fino alla cecità. Si tratta, pertanto, di una malattia progressiva, responsabile di grave invalidità, sia sul piano della formazione scolastica che dell’inserimento nel mondo del lavoro.

La terapia consiste in una singola iniezione nello spazio sottoretinico di entrambi gli occhi di una copia funzionante del gene RPE65. Il gene sano è veicolato all’interno delle cellule da un adenovirus associato, con patrimonio genetico modificato, che agisce come vettore. Una volta nelle cellule, la copia funzionante del gene è in grado di ripristinare la capacità visiva del paziente in modo significativo e duraturo.

Per poter accedere al trattamento sono stati stabiliti dei parametri di inclusione clinica specifici. E’ di fondamentale importanza la corretta caratterizzazione clinica della distrofia retinica e l’identificazione della mutazione del gene RPE65 attraverso un test genetico, al fine di arrivare ad una corretta diagnosi, valutare lo stato di progressione della malattia e impostare la corretta strategia terapeutica.

Nel maggio dello scorso anno è stato siglato un accordo quadro tra l’unità di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, diretta dal professor Stanislao Rizzo, e quella dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, diretta dal professor Luca Buzzonetti, per la gestione dei pazienti pediatrici e adulti affetti da degenerazioni retiniche ereditarie. L’obiettivo è migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria erogata a questi pazienti, mettendo in comune risorse e capacità organizzative. Attraverso un percorso diagnostico effettuato con protocolli comuni, i pazienti vengono inclusi in registri specifici per le possibili strategie terapeutiche. L’approvazione della prima terapia genica per una specifica mutazione causa di distrofie retiniche ereditarie come l’amaurosi congenita di Leber e la retinite pigmentosa ad insorgenza precoce insieme alla selezione dell’unità di Oculistica del Policlinico Gemelli come uno dei centri italiani di riferimento per la procedura chirurgica correlata, hanno portato al trattamento dei primi due pazienti pediatrici affetti da questa patologia provenienti dal Bambino Gesù.

I due bambini hanno 8 e 3 anni e vivono in Sardegna con i genitori arrivati qualche anno fa in Italia dal Senegal per lavoro. Il primo a ricevere la terapia genica è stato il maschietto che è in cura presso l’unità di Oculistica del Bambino Gesù da quando aveva 3 anni. La diagnosi di distrofia retinica, confermata dai test genetici, gli ha permesso di essere inserito nel registro dei pazienti eleggibili alla terapia genica voretigene neparvovec subito dopo l’approvazione da parte dell’Aifa quando aveva già 7 anni. La terapia è stata somministrata all’occhio destro nell’ottobre del 2021 e al sinistro a dicembre dello stesso anno.

Il percorso di follow-up post intervento, completato a febbraio del 2022, ha evidenziato un significativo miglioramento di tutti i parametri visivi soggettivi, cioè l’acuità visiva, il campo visivo e la visione crepuscolare. Lo stesso vale per i parametri oggettivi attraverso test specifici quali l’FST.

La sorellina, affetta dalla stessa malattia, è la paziente più giovane in Italia trattata con la terapia genica avendo compiuto da poco tre anni. Il primo trattamento è avvenuto a febbraio del 2022 e il secondo a giugno. Anche per lei il follow-up completato nei giorni scorsi ha evidenziato un significativo recupero della vista.

Una terza paziente del Bambino Gesù, di 7 anni, è al momento candidata al trattamento.

«La terapia genica per la degenerazione retinica a trasmissione ereditaria – afferma il dott. Giancarlo Iarossi, referente del percorso sulle distrofie retiniche all’interno dell’unità di Oculistica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – rappresenta la prima concreta cura per prevenire o correggere il decadimento completo della funzione visiva e riveste un ruolo fondamentale per future strategie terapeutiche. Altre forme di distrofie retiniche causate da diverse mutazioni geniche sono al momento oggetto di trials clinici in fase avanzata. L’auspicio degli operatori coinvolti è di continuare questo progetto volto ad applicare la terapia più appropriata secondo le attuali conoscenze sulle degenerazioni retiniche ai nostri pazienti comuni e di estenderla nell’immediato futuro ad altre mutazioni». 

«Operare pazienti in giovanissima età e ridare loro la vista è qualcosa che travalica la nostra vita professionale e si identifica appieno nella missione del Gemelli e del Bambino Gesù, curare persone affette da disabilità gravissime impiegando i risultati della ricerca clinica più avanzata – sostiene il professor Stanislao Rizzo, professore ordinario di Oculistica presso l’Università Cattolica e direttore della UOC di Oculistica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS. – La retinite pigmentosa è una malattia terribile che porta nelle forme più severe a cecità e per cui non esisteva terapia efficace fino a poco tempo fa. Finalmente oggi, anche se solo in pochi pazienti, riusciamo a offrire un trattamento efficace, frutto di studi scientifici internazionali eseguiti in pochissimi centri nel mondo di ricerca e cura».