Disfunzione olfattiva: Long Covid ma anche malattie neurologiche
Gli effetti e le conseguenze dei sintomi noti del Covid-19, come la perdita o la riduzione dell’olfatto, sono oggetto di ricerca sempre più approfondita. Ed è tempo di significativi risultati, come lo studio tutto italiano con la partecipazione di “Tor Vergata” pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica “Brain, Behavior and Immunity” nato della collaborazione tra Nicola Biagio Mercuri, Francesco Maria Passali, Tommaso Schirinzi dei Dipartimenti di medicina dei Sistemi e di Scienze cliniche e Medicina Traslazionale dell’università di Roma “Tor Vergata”, Roberta Lattanzi, Daniela Maftei, Martina Vincenzi dell’Università Sapienza di Roma e Cinzia Severini del Cnr.
Tramite il nasal brush, una tecnica non invasiva che consente di prelevare i neuroni olfattori dalla mucosa del naso, si è potuto studiare la loro capacità di infiammarsi, anche in caso di Covid. L’infiammazione ha luogo in due casi strettamente legati alla fisiopatologia dell’olfatto, rilevabili studiando sostanze ben precise: la Sostanza P, un neuromediatore attivo nelle reazioni di difesa delle vie aeree, e la Prochineticina-2, un peptide coinvolto in alcuni processi di sviluppo e protezione del sistema nervoso. I ricercatori hanno osservato che i neuroni olfattori dei pazienti con iposmia post-Covid persistente presentavano una quantità maggiore di Sp e Pk2 rispetto a soggetti sani. In particolare, il Pk2 era maggiore tra quei pazienti che avevano un senso dell’olfatto meno compromesso dalla malattia.
I ricercatori hanno pertanto immaginato che le due vie molecolari potessero avere un ruolo differenziale nei meccanismi del post-Covid, ritenendo che Sp potesse contribuire all’infiammazione responsabile della perdita dell’olfatto e Pk2 potesse essere invece correlata al recupero della funzione.
Tali risultati sono di fondamentale importanza per comprendere la natura di un fenomeno ancora poco spiegato ma cruciale in un’ottica di conseguenze a lungo termine. La disfunzione olfattiva può infatti associarsi a malattie neurologiche.
La Prochineticina 2 è target molecolare molto interessante nel campo della neurologia cui questo team dei ricercatori di “Tor Vergata”, Sapienza e Cnr si dedica da tempo. Già uno studio nel 2021 pubblicato su Movement Disorders aveva dimostrato come Pk2 potesse rappresentare un potenziale biomarcatore per la malattia di Parkinson. Più di recente il team ha pubblicato su Annals of Neurology che Pk2 è maggiormente presente nei neuroni olfattori dei pazienti con malattia di Parkinson in fase precoce, confermando ed estendendo gli studi precedenti.
“Osservare che in due modelli differenti, la malattia di Parkinson prima e il Long Covid poi, la Prokineticina-2 possa operare in senso neuroprotettivo è un risultato davvero incoraggiante” spiega il dottor Schirinzi “perché ci consente di guardare a questo mediatore della neuroinfiammazione come un potenziale bersaglio per lo sviluppo di nuove terapie per malattie ancora prive di cure, ad esempio le malattie neurodegenerative”.