Una buona notizia per gli oltre 4 milioni di italiani con diabete tipo 2: «i circa 3,4 milioni rilevati da ISTAT nel 2017, pari al 5,7% della popolazione nazionale, cui si deve aggiungere circa 1 milione di persone che hanno la malattia, ma non ne sono consapevoli» spiega Stefano Del Prato, Professore di Endocrinologia presso l’Università di Pisa.

È infatti ora disponibile anche in Italia, rimborsato dal servizio sanitario nazionale, semaglutide farmaco agonista del recettore del GLP-1 di ultima generazione. Somministrato per via iniettiva, con una comoda penna pre-riempita, una sola volta a settimana indipendentemente dai pasti, unisce, rispetto ai farmaci disponibili, superiore efficacia nel controllo della glicemia e del peso corporeo a benefici per il cuore e, in ultima analisi, la riduzione del rischio di complicanze del diabete.

«Il GLP-1 è un ormone fisiologico che svolge molteplici azioni nella regolazione del glucosio e dell’appetito, nonché nel sistema cardiovascolare. Semaglutide è un analogo del GLP-1, omologo al 94% a quello umano, le cui modifiche strutturali consentono la somministrazione settimanale» commenta Agostino Consoli, Professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti–Pescara. Grazie alla sua efficacia, fino al 79% dei pazienti raggiunge il target di emoglobina glicata, e quindi l’obiettivo terapeutico, e il documento di consenso delle società scientifiche americana ed europea ADA/EASD 2018 riconosce semaglutide come una valida ed efficace opportunità già in una fase precoce del trattamento.

«Le persone con diabete del nostro Paese godono complessivamente di un buon controllo della malattia, soprattutto rispetto alla situazione che si riscontra in molte altre nazioni» dice Carlo Bruno Giorda, Direttore della struttura complessa Diabetologia dell’ASL Torino 5. «Ciononostante, secondo i dati degli Annali AMD 2018 di Associazione Medici Diabetologi, nel diabete tipo 2 solo una persona su due, esattamente il 50,9%, ha un valore di emoglobina glicata inferiore al 7%, soglia richiesta dalle principali linee guida di cura della malattia» aggiunge.

Il valore dell’emoglobina glicata è il parametro che indica il livello di controllo della malattia ossia misura l’efficacia della cura. «Il primo obiettivo da perseguire, come medici diabetologi, è quello di mantenere la glicemia il più possibile sotto controllo, perché è ampiamente dimostrato quanto la riduzione del livello di emoglobina glicata di un solo punto percentuale sia in grado di ridurre drasticamente le complicanze del diabete: di oltre un terzo quelle microvascolari, responsabili ad esempio del danno renale, del 14% l’infarto cardiaco, del 12% l’ictus e del 21% la morte correlata alla malattia» spiega Francesco Giorgino, Professore di Endocrinologia presso l’Università di Bari Aldo Moro.

Semaglutide è stato oggetto di un ampio programma di studi clinici, che va sotto il nome di SUSTAIN, che ha dimostrato la superiore efficacia della molecola nell’abbassamento del livello di emoglobina glicata. Ad esempio, nello studio SUSTAIN 7, dove il confronto è con un altro farmaco agonista del recettore del GLP-1, semaglutide ha ridotto la HbA1c di 1,8 punti per cento rispetto all’1,4 quando entrambi i farmaci venivano somministrati al massimo dosaggio. Analogamente, nello studio SUSTAIN 2, semaglutide, valutato testa a testa con un inibitore del DPP-4 ha mostrato una riduzione tra 1,4 e 1,6 punti per cento, a seconda del dosaggio, rispetto allo 0,5 punti per cento raggiunto con il DPP-4.

Semaglutide mostra, inoltre, un importante effetto di riduzione del peso corporeo. «Un’azione che ha un significato rilevante» spiega Basilio Pintaudi, Medico diabetologo presso l’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda. «Infatti, sempre dalle rilevazioni degli Annali AMD 2018, emerge come il 41,2% delle persone con diabete tipo 2 sia obesa e il 39,1% sovrappeso. Cioè, 8 persone con diabete tipo 2 su 10 hanno un peso eccessivo, con tutte le conseguenze che questo comporta. Tenere contemporaneamente sotto controllo glicemia e peso è certamente un importante vantaggio».

Sempre nello studio SUSTAIN 7, semaglutide ha ridotto, dopo 40 settimane, il peso corporeo di 6,5 chilogrammi rispetto ai 3 chilogrammi ottenuti con l’agonista del GLP-1 di confronto e, nello studio SUSTAIN 2, dopo 56 settimane, tra i 4,3 e i 6,1 chilogrammi rispetto a 1,9 chilogrammi dell’inibitore del DPP-4.

L’altro punto di forza di semaglutide è la riduzione del rischio cardiovascolare: «la prima causa di morte e disabilità nel diabete tipo 2 a livello mondiale – chiarisce Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso l’Università degli Studi di Padova,che aggiunge – una persona con diabete tipo 2 ha un rischio di andare incontro a coronaropatia o infarto sino a quattro volte superiore alle persone sane». Anche in questo caso, la dimostrazione dell’efficacia di semaglutide viene dal programma SUSTAIN e precisamente da uno studio della durata di 2 anni, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo – SUSTAIN 6 – che ha valutato l’impatto del farmaco sugli eventi cardiovascolari. Semaglutide riduce il rischio cardiovascolare, rispetto al placebo, del 26 per cento.

Efficacia dimostrata su controllo glicemico e peso corporeo e riduzione del rischio cardiovascolare, associate alla possibilità di somministrarlo una volta a settimana rendono dunque semaglutide un farmaco comodo e semplice da utilizzare. «Le sue caratteristiche cliniche lo rendono indicato e dunque utilizzabile nel paziente non adeguatamente controllato, sin dalle prime fasi della cura del diabete tipo 2» conclude Avogaro.