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Daiichi Sankyo e Onda supportano la formazione dei medici per una “Cardiologia al Femminile”

Nei Paesi occidentali, le malattie cardiovascolari sono la prima causa di decesso per le donne. La ricerca ha evidenziato importanti differenze di genere nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari, dovute non solo a fattori biologici ma anche sociali e culturali, che si sono acuiti durante la pandemia di Covid-19. In occasione della Giornata Internazionale delle Donne, Daiichi Sankyo Italia e Fondazione O.N.D.A. – Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e di genere, supportano l’iniziativa “Cardiologia al Femminile”, due corsi di formazione tenuti da prominenti cardiologhe italiane, al fine di sensibilizzare la classe medica sulle tipicità di genere in ambito cardiovascolare.

Significative differenze di genere si osservano nella frequenza, nei sintomi, nella gravità e nella risposta ai farmaci in termini di efficacia e sicurezza, di moltissime malattie nelle diverse branche specialistiche. Le donne hanno però una percezione particolarmente bassa del rischio cardiovascolare e tendono a sottovalutare i sintomi, spesso presentano manifestazioni cliniche di difficile diagnosi, tendono ad avere maggiori complicanze e dunque peggior prognosi, e utilizzano farmaci studiati su campioni prevalentemente maschili, poiché soprattutto nella fase di sviluppo di un farmaco bisogna tener conto della vita riproduttiva e delle comorbilità che rendono la donna un soggetto più problematico nella sperimentazione.

I webinar hanno l’obiettivo di offrire un approfondimento sul tema, con un focus sulla fase post-menopausale, sull’incidenza dell’ictus tromboembolico nella donna e la differenza nella risposta alle terapie anche in relazione all’infezione da Covid-19, per la quale le stesse malattie cardiache rappresentano uno dei principali fattori di rischio. Alle relazioni scientifiche farà seguito una tavola rotonda al femminile per un confronto sull’equilibrio di genere nel settore sanitario, considerato ormai una questione di health policy.

Nella stessa epidemia da Covid-19, sesso e genere risultano svolgere un ruolo importante nel determinare la severità del quadro clinico. Mentre le donne hanno una maggior suscettibilità alle malattie infettive virali in generale e a Covid-19 in particolare rispetto agli uomini, in questi ultimi la prognosi risulta spesso peggiore. Un approccio di genere nella pratica clinica rappresenta dunque un irrinunciabile presupposto per una medicina personalizzata, più rispondente alle specifiche esigenze del singolo paziente, pertanto più efficace e sostenibile. “Fin dalle prime fasi dell’epidemia sono emerse differenze di genere nell’infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Sebbene i dati sulla ‘sindrome Long COVID’ (persistenza di sintomi successivi alla malattia), siano ancora esigui, essi già evidenziano che le donne avrebbero il doppio delle probabilità di sviluppare tale complicanza. – Spiega Nicoletta Orthmann, Coordinatore medico-scientifico di Fondazione O.N.D.A. – Diversi sono i fattori chiamati in causa, non solo ormonali e biologici ma anche socio-culturali, su cui si stanno conducendo numerosi studi con l’obiettivo di identificare strategie preventive e terapeutiche specifiche per uomini e donne. Senza dimenticare che le conseguenze sociali della pandemia in termini di disoccupazione, povertà e violenza hanno colpito molto più duramente le donne.”

Lo sviluppo della malattia cardiovascolare è condizionato dai fattori di rischio specifici del genere, e nelle donne anche dalle complesse interazioni con gli ormoni femminili.

L’eccesso di rischio prodotto dal fumo, per esempio, nelle donne è da 2 a 4 volte maggiore rispetto a quanto osservato negli uomini, ed è stato dimostrato che la forte associazione tra ipertensione arteriosa, mortalità precoce e insorgenza di coronaropatia è maggiore che nel sesso maschile e non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio scompare. Tra i soggetti di età compresa tra 35 e 84 anni, gli uomini hanno circa il doppio dell’incidenza totale di morbilità e mortalità rispetto alle donne, ma il vantaggio relativo di salute nel caso delle donne è attenuato da un tasso di mortalità da attacchi coronarici che supera quello maschile. Tuttavia ci sono differenze di genere nella manifestazione e nell’esito delle varie patologie cardiovascolari, infatti è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini, ma è più frequente che nelle donne l’angina pectoris non sia complicata, mentre negli uomini l’angina tende a evolvere verso l’infarto, e la morte improvvisa è più frequente negli uomini rispetto alle donne. “A queste differenze si associano le difficoltà diagnostiche legate spesso alla diversa presentazione clinica delle patologie cardiovascolari nella donna, oltre alla scarsa consapevolezza sia da parte dei medici che delle pazienti della specificità della malattia cardiovascolare nel sesso femminile”, osserva Battistina Castiglioni, Direttore Dipartimento Cardiolovascolare – Direttore SC Cardiologia presidio di Tradate- ASST-Sette Laghi

Peculiarità di genere sono state ormai riscontrate in ambito eziologico, fisiopatologico, diagnostico e terapeutico con sintomi di presentazione diversi tra uomo e donna. “Considerare un approccio diagnostico genere-specifico in ambito cardiologico è di primaria importanza, tenendo conto che le patologie cardiovascolari rientrano tra le principali cause di morte nel sesso femminile. Fondamentali quindi conoscenza e consapevolezza della malattia cardiovascolare nella donna e una corretta stratificazione del rischio”, commenta Cinzia Valenti, Responsabile servizio cardiologia presso istituto Clinico Beato Matteo.

L’ictus nelle donne rappresenta un problema grave e a lungo trascurato, nonostante la patologia cerebrovascolare acuta rappresenti la terza causa di morte nel sesso femminile e 1 donna su 5 vada incontro nel corso della sua vita a un ictus, tanto che si prevede che nel 2050 la mortalità per ictus sarà il 30% più alta nel sesso femminile, a causa della loro maggiore longevità – In Italia nel 2019 l’aspettativa di vita alla nascita era di 85.4 anni nelle donne e di 81.1 negli uomini.

Il sesso femminile modifica epidemiologia, espressione dei fattori di rischio, caratteristiche cliniche e prognostiche dell’ictus che vengono a modularsi sui cambiamenti della vita riproduttiva. L’incidenza dell’ictus è maggiore nelle donne fino ai 30-34 anni, minore nella fascia di età intermedia per poi presentare un progressivo incremento dopo la menopausa e arrivare ad essere significativamente più alta dopo i 75 anni. L’aumento di incidenza nelle giovani donne è dovuto a fattori di rischio peculiari o specifici quali emicrania con aura, terapia estroprogestinica e gravidanza.  Inoltre, per la maggior frequenza di sintomi d’esordio atipici e di forme rare e per la scarsa conoscenze delle peculiarità di genere delle manifestazioni cerebrovascolari sia nei medici che nelle pazienti stesse,  le donne sono esposte a un maggior rischio di diagnosi errata  e di ritardato/mancato riconoscimento dei sintomi dell’ictus, che riduce la probabilità di usufruire degli interventi di ricanalizzazione sistemica e/o endovascolare in grado di modificare significativamente e positivamente la prognosi. “Purtroppo esiste ancora una importante barriera nella comprensione dell’ictus nel sesso femminile, dei suoi effetti e dei possibili interventi terapeutici sia in fase acuta che cronica, la cui causa va ricercata nella scarsa rappresentatività delle donne negli studi clinici, ma anche a ragioni di tipo culturale e psicologico. – spiega Anna Cavallini, Direttore Unità Complessa Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit presso l’IRCCS Fondazione Mondino di Pavia- L’ictus nelle donne è però una ‘epidemia incombente’ e nel prossimo futuro dovrà essere riconosciuta la priorità alla ricerca sull’ictus nel sesso femminile al fine di contenere l’impatto socio-economico di questa malattia.”

La fibrillazione atriale è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, di malattia cardiovascolare e di mortalità. Il rischio di stroke nella fibrillazione è tuttavia eterogeneo tra uomo e donna; diversi studi hanno infatti dimostrato che le donne presentano rispetto agli uomini un rischio di ictus incrementato e un rischio di sanguinamento particolarmente elevato, anche durante il trattamento con antagonisti della vitamina K, L’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminili. Lo dimostra, ad esempio, un’analisi pre-specificata dell’ENGAGE AF-TIMI 48 che aveva lo scopo di valutare il profilo di efficacia e sicurezza dell’anticoagulante orale diretto edoxaban nelle donne rispetto agli uomini. 21.105 pazienti i pazienti arruolati di cui 8.040 donne; rispetto agli uomini le donne erano più anziane, avevano un peso corporeo inferiore, avevano maggiori probabilità di avere ipertensione e disfunzione renale ma meno probabilità di fumare, bere alcolici, avere il diabete o la malattia coronarica. Nonostante molte differenze nelle caratteristiche di base tra donne e uomini edoxaban, al dosaggio raccomandato, ha dimostrato rispetto al warfarin simile efficacia tra i sessi e una riduzione del rischio di sviluppare sanguinamenti con un beneficio amplificato nelle donne rispetto agli uomini.

“Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro, con un impatto fondamentale su diagnosi precoce e accesso alle terapie, così da migliorare l’outcome clinico”, sottolinea Piera Angelica Merlini Dirigente Medico Cardiologo presso l’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano.

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