Il 17 aprile ricorre in tutto il mondo la Giornata mondiale dell’emofilia, malattia genetica dovuta al difetto in uno dei fattori coinvolti nella coagulazione del sangue e caratterizzata da emorragie più o meno gravi a seguito di traumi, ferite, operazioni chirurgiche, oppure emorragie interne apparentemente spontanee. Si stima che nel mondo siano 400mila le persone affette da emofilia, oltre 5.000 in Italia. Se ne distinguono due forme: la A in cui manca il fattore VIII e che è la più frequente e la B in cui manca il fattore IX.
Non esiste ancora una cura risolutiva per questa malattia, ma è possibile tenerla sotto controllo grazie all’assunzione periodica dei fattori mancanti, che oggi è possibile ottenere per via biotecnologica. Nel tempo la qualità della vita delle persone con emofilia è decisamente migliorata, ma la ricerca ha continuato ad andare avanti sia per sviluppare una terapia risolutiva, sia per cercare di risolvere alcune limitazioni importanti dei trattamenti attualmente disponibili. Fondazione Telethon ha dato negli anni un contributo significativo alla ricerca sull’emofilia: oltre 3,6 milioni di euro che hanno permesso di finanziare 14 progetti su diversi aspetti.
Attualmente uno dei principali limiti della terapia sostitutiva è la formazione di anticorpi inibitori diretti contro il fattore della coagulazione ricombinante, che di fatto ne annullano l’effetto terapeutico: questo si verifica nel 30 per cento dei casi di emofilia A e nel 10 per cento dei casi di emofilia B.
All’Università di Perugia, Francesca Fallarino studia da molti anni questo particolare aspetto, anche grazie a fondi Telethon. Per il sistema immunitario di questi pazienti i fattori della coagulazione somministrati dall’esterno sono estranei alla stregua di virus e batteri, quindi si attiva per neutralizzarli. La terapia sostitutiva “classica” risulta così del tutto inefficace e bisogna ricorrere ad alternative, che però sono in grado di risolvere solo parzialmente il problema, o per certi pazienti non sono proprio disponibili. Da qui la necessità di trovare nuove strade per contrastare questa risposta immunitaria neutralizzante.
Sempre nell’ambito dei progetti di ricerca extramurale finanziati da Fondazione Telethon, Antonia Follenzi, professore ordinario di Istologia presso l’Università del Piemonte Orientale, ha meritato un finanziamento per uno studio sull’emofilia A, che si svolgerà in collaborazione con il gruppo di Salvatore Oliviero dell’Università di Torino. Tutti gli approcci di terapia genica messi a punto finora mirano a correggere le cellule del fegato, o epatociti, per renderle in grado di produrre il fattore VIII da rilasciare nel sangue. Tuttavia, è proprio agli studi di Antonia Follenzi che si deve l’ingresso in scena di un nuovo possibile protagonista, le cellule endoteliali, quelle cioè che rivestono le pareti interne dei vasi sanguigni presenti nei diversi organi. Grazie al nuovo finanziamento Telethon cercherà di capire se correggere anche questo tipo di cellule con la terapia genica possa contribuire a migliorare il decorso della malattia. Il suo obiettivo non è presentare un metodo alternativo a quelli già molto avanti nella sperimentazione sull’uomo, ma offrire un altro punto di vista per affrontare il problema.
Potrà sembrare un paradosso, ma un’altra speranza è offerta dall’Hiv, proprio da questo virus potrebbe arrivare nei prossimi anni una terapia in grado di correggere in modo stabile e duraturo il difetto genetico responsabile dell’emofilia, all’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano, infatti, il direttore Luigi Naldini e Alessio Cantore lavorano da anni con il loro team a una strategia di terapia genica basata su vettori derivati proprio dall’Hiv, quelli lentivirali. Del virus originale non resta che una piccola porzione, quella necessaria a garantire l’ingresso nella cellula bersaglio, per cui non esiste possibilità alcuna di trasmettere l’infezione. La terapia genica prevede la somministrazione attraverso un’iniezione endovenosa di questi vettori contenenti una versione sana del gene codificante i fattori della coagulazione; attraverso il sangue, questi vettori raggiungono il fegato che inizia a produrre i fattori della coagulazione e a renderli disponibili per l’organismo.