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Covid-19: quattro studi Unife su pazienti ricoverati all’Ospedale di Cona gettano luce sui meccanismi della malattia

A un anno dall’inizio della pandemia, il Covid-19 non è più una malattia totalmente sconosciuta. La comunità scientifica sta via via identificando i meccanismi biologici che sono alla base delle sue caratteristiche cliniche e che ne condizionano l’andamento.

Anche l’Università di Ferrara, in collaborazione con i professionisti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, offre il suo contributo in questo senso. È il caso dei risultati ottenuti dalla collaborazione tra i gruppi di ricerca dell’unità di Malattie dell’apparato respiratorio dedicata al Covid-19, della Terapia intensiva dedicata al Covid-19 e della Cardiologia dell’Ospedale di Cona.

Le ricercatrici e i ricercatori del network hanno confrontato due gruppi di pazienti ricoverati per insufficienza respiratoria. Un gruppo di persone ospedalizzate durante la prima ondata della pandemia e un altro gruppo di pazienti con insufficienza respiratoria non legata al Covid-19:  

“Abbiamo ottenuto importanti informazioni sia attraverso il confronto tra i pazienti più gravi e meno gravi, sia monitorando diversi parametri e marcatori biologici al momento del ricovero e dopo una, due e tre settimane, quindi seguendo l’andamento nel tempo della malattia” spiega Marco Contoli, Professore associato in malattie dell’apparato respiratorio.

Le analisi di Unife identificano tre meccanismi che hanno un ruolo fondamentale nel definire il decorso della malattia. 

Il primo riguarda le molecole che partecipano ai processi di coagulazione del sangue. Lo studio aggiunge un importante tassello alle osservazioni, già raccolte nei mesi scorsi, su cui si basa l’uso di farmaci antiaggreganti come l’eparina: 

“Avendo raccolto informazioni in tempi diversi, abbiamo capito che il meccanismo dell’aggregazione piastrinica gioca un ruolo importante soprattutto nella prima fase di aggravamento della malattia. Ciò suggerisce che un intervento farmacologico precoce e mirato potrebbe essere più efficace rispetto a un intervento e tardivo” sottolinea il professore Gianluca Campo, Professore ordinario di cardiologia.

Unife convalida anche le evidenze che parlano di una importante attivazione delle molecole dell’infiammazione nei meccanismi biologici alla base della patologia. “I nostri dati dimostrano che i biomarcatori infiammatori sono espressione di un danno a livello del torrente circolatorio, che si ripercuote principalmente a livello polmonare,” riporta il professore Savino Spadaro, Professore associato in anestesia e rianimazione (Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università di Ferrara; UO Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara) che aggiunge: “Molti dei fattori pro-infiammatori coinvolti nella malattia possono essere bloccati da farmaci antinfiammatori, come il cortisone. Di nuovo, quindi, l’indicazione clinica potrebbe essere di intervenire precocemente sui pazienti ospedalizzati per insufficienza respiratoria”. 

Il terzo aspetto valutato dal team Unife riguarda i meccanismi immunologici di difesa contro le infezioni virali. In particolare, il ruolo dell’interferone, una molecola prodotta dal corpo umano di grande importanza per la risposta del sistema immunitario: “Lo studio, in linea con altre evidenze, dimostra che una maggiore produzione di interferone è associata al miglioramento della malattia e sopravvivenza durante il periodo di osservazione” precisa il professor Contoli.

Grazie ai campioni biologici che hanno permesso la realizzazione di questi studi, nei prossimi mesi sarà possibile eseguire nuove analisi di approfondimento. Il team si propone di mettere insieme tutte le osservazioni raccolte, per cercare di individuare delle interazioni tra i risultati ottenuti. 

“Sarà anche interessante valutare le molecole che abbiamo studiato finora nell’ottica di individuare dei marcatori clinici in grado di dare indicazioni specifiche sull’andamento della malattia” conclude Contoli.

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