Perché quando ci spaventiamo sentiamo il cuore battere più forte? Lo spiegano in un articolo pubblicato sulla rivista “Trends in Neurosciences” Simone Battaglia (nella foto) e Julian F. Thayer. I due studiosi, partendo da nuove evidenze scientifiche, propongono infatti un nuovo modello teorico dell’interconnessione tra il sistema nervoso centrale e quello periferico che regola le nostre risposte viscerali in reazione alla paura.
“Questo nuovo modello, chiamato ‘Modello di Integrazione Neuroviscerale della Paura (NVI-f)’ rielabora il modello di comunicazione bidirezionale tra cervello e cuore, ridefinendo la complessa interconnessione funzionale tra sistema nervoso centrale e periferico”, conferma Simone Battaglia, ricercatore al Centro di studi e ricerche in Neuroscienze cognitive del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna. “In particolare, ci siamo focalizzati su come la funzione inibitoria dei circuiti neurali implicati nell’autoregolazione fisiologica, emozionale e cognitiva sia coinvolta anche nel controllo dell’attività cardiaca in risposta a uno stimolo appreso che provoca paura”.
La presenza di una connessione tra cuore e cervello non è una novità. La ipotizzò già più di un secolo fa il fisiologo francese Claude Bernard, individuando la sua sede nella corteccia frontale. Più recentemente, nel 2000, Julian F. Thayer e Richard D. Lane teorizzarono questa connessione nel “Modello di integrazione neuroviscerale”: la rete di strutture neurali connesse a funzioni fisiologiche, cognitive ed emotive attraverso cui il nostro cervello produce risposte viscero-motorie, neuroendocrine e comportamentali per preparare il nostro organismo a reagire in modo adeguato agli stimoli che provengono dall’ambiente in cui ci troviamo.
Partendo da queste basi, Simone Battaglia e lo stesso Julian F. Thayer hanno ora proposto nuove evidenze dirette di come l’attività prefrontale del cervello sia in grado di provocare anche specifiche risposte viscerali di paura, modulando i circuiti di eccitazione del sistema nervoso.
“Esiste una complessa rete neurale che parte dalla corteccia prefrontale ed arriva fino al cuore e permette di dare risposta alle situazioni che provocano paura grazie ad un effetto inibitorio associato alla funzione del nervo vago, che in condizioni normali tiene sotto controllo il sistema nervoso autonomo”, dice Battaglia. “Questo modello ci permette di comprendere in modo più dettagliato le risposte neuroviscerali che sono determinate dalle connessioni dinamiche tra cervello e cuore”.
Il nuovo modello teorico ha già trovato delle conferme sul piano fisiologico, con risultati che saranno pubblicati a breve sulla rivista “Psychophysiology”. Gli autori dello studio hanno sviluppato e implementato una nuova tecnica di analisi dello spettro cardiaco insieme ad algoritmi di machine learning per dimostrare il ruolo determinante della corteccia prefrontale nell’incremento dell’attività vagale in risposta ad uno stimolo emotivo negativo precedentemente appreso: un risultato che porterà a importanti implicazioni da un punto di vista teorico e clinico nei prossimi anni, a partire dallo sviluppo di trattamenti avanzati per chi soffre di disturbi psichiatrici.