La risonanza magnetica cardiaca è raccomandata per la diagnosi e la stadiazione della cardiomiopatia ipertrofica, ma solo se eseguita in centri specializzati e inserita all’interno di una valutazione multidimensionale. Queste le conclusioni a cui è giunto uno studio finanziato dalla Fondazione di Ricerca FROM e firmato dagli specialisti del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che si è classificato tra le dieci pubblicazioni più scaricate nel 2018 dal sito dell’European Heart Journal – Cardiovascular Imaging, tra le più importanti riviste dedicate alla diagnostica per immagini cardiovascolare.
La cardiomiopatia ipertrofica resta a tutt’oggi la prima causa di morte cardiaca improvvisa giovanile, e spesso non viene diagnosticata.
“L’obiettivo della risonanza – spiega Giovanni Quarta, cardiologo all’ospedale di Bergamo e primo firmatario dello studio – è quello di fornire informazioni sulla morfologia del cuore, sulla sua funzionalità e, aspetto unico, sulle caratteristiche dei tessuti cardiaci. Con questo studio abbiamo voluto fare il punto sullo stato dell’arte della RMN nella diagnosi e nella stadiazione della cardiomiopatia ipertrofica e anche rivedere il contesto clinico in cui il referto si inserisce”.
Grazie alla collaborazione fra il Dipartimento Cardiovascolare diretto da Michele Senni, con Quarta e Attilio Iacovoni del Centro Cardiomiopatia Ipertrofica e alla Radiologia 1 diretta da Sandro Sironi dell’Università di Milano Bicocca, con Paolo Brambilla, sono stati considerati sia casi di pazienti adulti sia pediatrici, prendendo in considerazione anche il ruolo della risonanza dal punto di vista delle prospettive di ricerca. “Ai ricercatori servono dati standardizzabili, in modo da poter creare database e protocolli comuni fra i diversi centri. Questo significa offrire ai pazienti gli stessi criteri decisionali nella gestione della malattia, in tutti i centri di riferimento”, commenta Quarta. In parole semplici, mettere a patrimonio comune le informazioni e le scoperte dei diversi centri europei.
La RMN cardiaca fornisce informazioni che hanno un grande potenziale, fino ad assumere valore predittivo sull’evolversi della malattia se confrontate con i dati clinici e funzionali del paziente. “Una strada che porterebbe a una medicina davvero personalizzata sul singolo individuo – prosegue Quarta -. Non a caso le nostre conclusioni hanno ricevuto il consenso dai Cardiologi italiani e sono state accettate a livello europeo dalla rivista ufficiale della European Association of Cardiovascular Imaging, un ramo della European Society of Cardiology, la più importante società europea in campo cardiovascolare”.