Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia, in collaborazione con ricercatori della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, ha identificato per la prima volta la successione di tutte le mutazioni molecolari che causano la progressione del carcinoma ovarico più diffuso e più aggressivo, ottenendo dati inediti dal punto di vista biologico e potenzialmente terapeutico. I risultati dello studio, coordinato da Ugo Cavallaro, direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica dello IEO, sono stati recentemente pubblicati sul prestigioso “International Journal of Cancer”.
Quello dell’ovaio è il tumore più letale per la donna e il “carcinoma ovarico sieroso di alto grado” è la forma più diffusa e più aggressiva. Le terapie attualmente a disposizione hanno efficacia purtroppo limitata per un motivo clinico e uno biologico: nell’80% dei casi il tumore è diagnosticato in fase avanzata, essendo all’esordio del tutto asintomatico; l’alto grado di eterogeneità cellulare ha finora reso difficile caratterizzare i cambiamenti molecolari che ne promuovono la progressione. Gli sforzi della ricerca internazionale si sono fino ad ora concentrati sul sequenziamento del genoma sia del tumore primario che delle metastasi, per metterli a confronto e individuare le alterazioni molecolari che determinano la diffusione della malattia, causa della sua letalità. I risultati sono stati solo parziali.
“Per individuare la “traiettoria” del cancro ovarico noi abbiamo pensato a un approccio innovativo – spiega Cavallaro –. Dal tumore ovarico di una singola paziente abbiamo generato una serie di modelli sperimentali di tumore che ricapitolano ognuno un passaggio diverso della progressione della malattia. Abbiamo così ottenuto il profilo genomico e trascrittomico dei vari modelli, in modo da ricavarne delle “firme” molecolari, vale a dire dei set di mutazioni o di geni specificamente associati ai diversi modelli. Utilizzando questa chiave abbiamo quindi interrogato i database mondiali che contengono i dati genetici di coorti numerose di pazienti con tumore ovarico e, confrontando i nostri modelli con i dati reali, abbiamo scoperto che le firme molecolari individuate hanno potere prognostico e predittivo. In altre parole, le firme molecolari ottenute tramite modelli sperimentali diversi ma derivanti da un unico tumore hanno fornito informazioni cliniche estendibili anche alle altre pazienti, inclusa la prognosi e la predizione della risposta alla chemioterapia. Abbiamo inoltre ottenuto dati molto interessanti, almeno potenzialmente, dal punto di vista terapeutico, scoprendo un punto vulnerabile del carcinoma ovarico”.
“Abbiamo dimostrato – continua Fabrizio Bianchi della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – che la proteina PI3K ha un ruolo essenziale nel mantenere in vita le cellule staminali tumorali del carcinoma ovarico, le cellule da cui il tumore nasce e si rigenera, e offre dunque un nuovo possibile bersaglio terapeutico per l’eliminazione di questo sottogruppo di cellule così importante nella recidiva e nella chemioresistenza della malattia.
Il ruolo di PI3K come promotore del cancro ovarico è noto da tempo e la sua “disattivazione” è stata ampiamente esplorata come strategia terapeutica. Il nostro studio ha esteso le precedenti osservazioni sul legame tra PI3K e neoplasia ovarica, svelando il ruolo di una mutazione recentemente scoperta di PIK3R1, che sappiamo essere il gene regolatore di PI3K. La mutazione di questo gene provoca un’attivazione anomala di PI3K, che fa da scudo alle cellule staminali tumorali, rendendole immortali. Si può pertanto immaginare che l’inibizione di PI3K possa superare la chemioresistenza, un’ipotesi che merita ulteriori indagini per le sue potenziali implicazioni per la gestione clinica delle pazienti con carcinoma ovarico”.
“In sintesi abbiamo delineato un flusso di lavoro che, attraverso l’analisi del DNA e RNA, ha ottenuto modelli di alterazioni molecolari importanti per il trattamento del carcinoma ovarico, come esemplificato dalla mutazione PIK3R1 e dalla deregolamentazione di PI3K. Il nostro approccio può dunque identificare alterazioni “druggable”, che possono cioè diventare bersagli di farmaci mirati, per offrire nuove opzioni terapeutiche anche per il tumore femminile più temibile e insidioso” conclude Cavallaro.
Lo studio, che ha visto la collaborazione di altri ricercatori dello IEO guidati da Giuseppe Testa e dell’Istituto Mario Negri guidati da Raffaella Giavazzi, è stato condotto con il supporto di AIRC, del Ministero della Salute e della Fondazione IEO-Monzino.