Le terapie cellulari che impiegano la tecnologia CAR-T rappresentano una vera e propria rivoluzione nella lotta ai tumori del sangue: questa tecnologia consiste nell’ingegnerizzare geneticamente alcune cellule del sistema immunitario (per la precisione i linfociti) per renderli capaci di riconoscere ed eliminare i tumori. La straordinaria efficacia dei linfociti CAR-T è tuttavia accompagnata dal rischio di gravi tossicità, tra le quali la frequente sindrome da rilascio di citochine, molecole ad alto potenziale infiammatorio, e la più rara, ma purtroppo talvolta mortale, neurotossicità. Un team di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato – ha scoperto il meccanismo molecolare all’origine di queste tossicità e ha dimostrato la potenziale efficacia di un farmaco, già in uso per l’artrite, nel prevenirle e curarle. A guidare il lavoro al San Raffaele è stato Attilio Bondanza, prima ricercatore dell’Università Vita-Salute San Raffaele e da poco in Novartis, a Basilea. La scoperta, pubblicata su Nature Medicine, potrebbe avere un impatto immediato: quello di rendere la terapia con linfociti CAR-T molto più sicura.
I linfociti CAR-T esprimono in superficie recettori cosiddetti “chimerici”, progettati in laboratorio e costruiti assemblando diverse molecole. Questi recettori chimerici permettono ai linfociti di riconoscere in modo selettivo le cellule del tumore. “L’idea alla base di questa terapia è di istruire il sistema immunitario a distinguere le cellule malate da quelle sane”, spiega Attilio Bondanza. “Un compito non facile, dal momento che il sistema immunitario è addestrato dall’evoluzione a essere molto cauto prima di aggredire i nostri tessuti. Questo è invece esattamente quello che deve fare nel caso di un tumore”. Attraverso l’ingegnerizzazione genetica, i linfociti CAR-T diventano capaci di scatenare la risposta immunitaria contro il tumore con un’efficacia senza precedenti. Ecco perché nel 2017 l’FDA americana ne ha approvato l’uso per alcuni tumori del sangue. In Europa l’approvazione da parte dell’EMA è attesa entro fine 2018.
Come per ogni farmaco, la loro efficacia può però accompagnarsi ad alcuni effetti collaterali. La CRS è una sindrome abbastanza comune nei pazienti sottoposti a terapia con linfociti CAR-T. Si manifesta in genere entro pochi giorni dall’infusione ed è solitamente controllabile grazie all’impiego di tocilizumab, un farmaco che interferisce con la citochina IL-6. A distanza di alcune settimane però, in un numero ridotto ma importante di pazienti, emerge un nuovo disturbo, fino a oggi molto difficile da trattare e che può rivelarsi mortale: la neurotossicità.
“Prima d’ora, studiare la natura di CRS e neurotossicità e soprattutto capire la relazione tra le due era impossibile perché non si disponeva di un modello sperimentale capace di riprodurre questi fenomeni”, spiega Margherita Norelli, primo autore della prestigiosa pubblicazione scientifica. Per risolvere questo problema, il gruppo di ricerca afferente alla Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive del San Raffaele ha sviluppato un modello di topo umanizzato – un topo con un sistema immunitario molto simile a quello umano – in grado di riprodurre per la prima volta sia gli effetti terapeutici che quelli tossici dei linfociti CAR-T osservati nell’uomo. Attraverso lo studio di questo modello i ricercatori hanno dimostrato che la neurotossicità da linfociti CAR-T è causata da IL-1, una citochina diversa da IL-6, e hanno dimostrato nel modello sperimentale l’efficacia di anakinra, un farmaco che interferisce con IL-1 e che è già in commercio per prevenire e curare l’artrite.
Non solo: studiando la relazione tra le due citochine, il gruppo di ricerca di Attilio Bondanza ha dimostrato che IL-1 è la prima citochina a essere rilasciata e che questa in seguito innesca una reazione a catena portando al rilascio di IL-6 e quindi all’insorgere della CRS. “Ciò significa che la somministrazione di anakinra potrebbe contrastare sia la neurotossicità che la CRS” aggiunge Margerita Norelli. “Lo studio è importante non solo perché suggerisce un’opzione farmacologica già disponibile per i pazienti sottoposti a terapie con linfociti CAR-T, ma soprattutto perché dimostra che l‘efficacia antitumorale dei linfociti con anticorpi chimerici rimane intatta”, conclude Attilio Bondanza. Il prossimo passo sarà quello di sperimentare sull’uomo anakinra, o altri farmaci che interferiscono con IL-1, con il fine ultimo di portare un vero beneficio a un numero sempre maggiore di pazienti.