Tutti gli organismi viventi risultano straordinariamente adattati all’ambiente in cui vivono e lo studio dei processi mediante i quali si è arrivati a un simile risultato nel corso del processo evolutivo è una delle questioni biologiche ancora fonte di intenso dibattito. In particolare, nell’ambito della biologia evoluzionistica, sono due i principali aspetti sui quali la discussione è ancora aperta: la velocità dei processi evolutivi di mutazione e selezione e la potenzialità dell’ambiente di agire attivamente sul patrimonio genetico incidendo direttamente nello sviluppo e nell’evoluzione delle specie.
La formulazione darwiniana classica attribuisce all’ambiente un ruolo di selezione degli organismi più adatti sulla base della loro costituzione genetica. Sotto questa ottica le variazioni ambientali e la variabilità genetica sono visti come due fenomeni separati. Un nuovo studio, condotto dal Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza, getta invece una nuova luce in quanto mostra chiaramente che sono fenomeni interconnessi la cui interazione permette rapidi processi evolutivi.
Il lavoro, pubblicato sulla rivista Pnas, dimostra sperimentalmente che drastici cambiamenti ambientali possono produrre una forte variabilità genetica attraverso l’attivazione di speciali elementi mobili simili a particelle virali che sono denominati trasposoni.
Scoperti negli anni ‘50 da Barbara Mc Clintock, i trasposoni sono elementi genetici mobili in grado di spostarsi autonomamente nel genoma e cambiare la propria localizzazione sia all’interno dello stesso cromosoma che tra cromosomi diversi. Per la loro capacità di modulare finemente e riprogrammare l’espressione di complesse reti genetiche, i trasposoni rappresentano un ottimo strumento attraverso il quale i genomi possono rispondere, in modo funzionale ai cambiamenti e agli stress ambientali.
Utilizzando Drosophila melanogaster come modello sperimentale, i ricercatori hanno dimostrato che la proteina HSP70 è un mediatore chiave nell’attivazione degli elementi trasponibili in seguito ad un forte stress ambientale. HSP70 è un chaperone molecolare stress-inducibile che è in grado di svolgere un duplice ruolo: da una parte facilita il folding delle proteine denaturate dal calore, dall’altra compromette la funzionalità del complesso riboproteico normalmente coinvolto nel “silenziamento” o disattivazione degli elementi trasponibili nella linea germinale.
“Lo studio – spiega Lucia Piacentini del Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza – evidenzia una correlazione funzionale tra stress, trasposoni ed evoluzione dei genomi: i cambiamenti ambientali agendo come mutageni aumentano la variabilità genetica attraverso l’attivazione degli elementi trasponibili per poi agire su di essa selezionando i genomi più adatti. Inoltre, avendo identificato il ruolo di HSP70, proteina presente in tutti gli organismi, il lavoro fornisce una spiegazione molecolare a questa visione evolutiva”.
In conclusione, rispetto alla formulazione darwiniana classica, queste nuove acquisizioni attribuiscono all’ambiente non solo un ruolo di selezione delle caratteristiche fisiologiche più adatte ma anche un ruolo di induttore di variabilità genetica mediata dall’attivazione degli elementi trasponibili.