Bambino Gesù: intervento salvavita in emodinamica su una giovane paziente di 21 anni
Intervento salvavita all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù su una giovane paziente di 21 anni affetta da stenosi polmonare severa, un grave malfunzionamento della valvola polmonare che regola lo scambio di sangue ed ossigeno tra cuore e polmoni.
Le condizioni della ragazza, non in grado di sostenere un intervento chirurgico a cuore aperto, hanno reso necessario il ricorso per via compassionevole ad un innovativo dispositivo transcatetere, utilizzato per la prima volta in Italia ma non ancora autorizzato in Europa, che agevola il posizionamento per via endoscopica delle protesi valvolari polmonari in pazienti con gravi cardiopatie congenite.
L’intervento è stato eseguito con successo dall’Unità di Cardiologia interventistica del Bambino Gesù, diretta dal dott. Gianfranco Butera. La paziente sta bene ed è stata dimessa dopo appena 2 giorni dall’esecuzione della procedura.
In un cuore sano la valvola polmonare – posta tra il ventricolo destro e l’arteria polmonare – si apre per consentire al sangue di procedere verso i polmoni per ossigenarsi e poi si chiude, per impedirgli di tornare indietro lungo il canale dell’efflusso destro.
Nei pazienti con alcune cardiopatie congenite questa funzione di cerniera è compromessa. Si verifica così un fenomeno di rigurgito polmonare, un parziale reflusso di sangue risolvibile normalmente con il posizionamento di protesi valvolari polmonari tramite intervento chirurgico a cuore aperto o, quando è possibile, per via endoscopica. In questo modo viene ristabilita la corretta funzionalità del cuore.
L’impianto per via endoscopica può essere ostacolato o impedito dalla morfologia irregolare dell’efflusso destro, che può presentare un’eccessiva dilatazione a causa di precedenti interventi chirurgici o di altri fattori. È il caso della paziente di 21 anni seguita fin da piccola al Bambino Gesù per una grave stenosi polmonare: né la strada della chirurgia a cuore aperto, né quella delle tradizionali valvole transcatetere erano per lei percorribili.
Gli specialisti dell’Unità operativa di Cardiologia interventistica hanno dunque valutato l’impianto di un nuovo dispositivo transcatetere di ultima generazione, già in uso da qualche anno negli Stati Uniti ma non ancora autorizzato in Europa, per il quale è stato necessario il via libera da parte del Ministero della Salute per uso compassionevole.
Si tratta di un sistema costituito da due componenti. Il primo è uno stent autoespandibile in metallo, che funge da riduttore del diametro dell’efflusso destro dilatato. Una sorta di condotto a forma di clessidra che fornisce la base di appoggio per il secondo componente, una valvola polmonare standard. Grazie a questo sistema è possibile intervenire per via endoscopica anche nel caso di dilatazioni dell’efflusso destro fino a 42-44 millimetri, contro i 29 millimetri al massimo gestibili con i dispositivi transcatetere tradizionali.
Le protesi valvolari polmonari, inoltre, essendo costituite di materiale biologico, vanno incontro con il passare del tempo a un parziale deterioramento che ne richiede la sostituzione. La “clessidra” per la sua natura metallica non subisce lo stesso processo e consente di inserire per via emodinamica una nuova valvola quando si renderà necessario.
L’utilizzo a regime di questo nuovo dispositivo transcatetere, quando sarà possibile, consentirà dunque di trattare una più ampia platea di pazienti con cardiopatie congenite oggi destinati al bisturi a causa di estese dilatazioni dell’efflusso destro.
«La possibilità – afferma il dott. Gianfranco Butera – di una procedura dopo la quale si può tornare a casa in 2-3 giorni, è un risultato importante in termini di vissuto del paziente che viene sottoposto a un minore stress fisico e psicologico rispetto a un intervento chirurgico a cuore aperto. E rappresenta un vantaggio anche per il Servizio sanitario nazionale per il minore impegno di risorse. La cardiologia interventistica si basa sulla continua evoluzione tecnologica. Solo al Bambino Gesù saremo in grado passare da un numero di 25-30 pazienti l’anno ad almeno 45-50. Oggi, grazie all’autorizzazione del Ministero della salute, siamo felici di aver potuto rispondere all’esigenza di cura di una nostra paziente per la quale l’attesa avrebbe rappresentato un rischio troppo elevato».