Artrite reumatoide: grazie ai farmaci biologici migliora la workability
Grazie ai farmaci biologici pazienti affetti da artrite reumatoide possono continuare a lavorare e a svolgere le faccende domestiche, preservando l’autonomia, fattore fondamentale per mantenere alta la qualità della vita. È quanto emerso da uno studio, pubblicato su “Pubmed”, a firma della dott.ssa Maria Manara (nella foto), reumatologa dell’ASST Gaetano Pini-CTO, che ha coordinato la ricerca, insieme con il prof. Roberto Caporali, Direttore del Dipartimento di Reumatologia dell’ASST Gaetano Pini-CTO e altri studiosi.
“Il nostro studio ha dimostrato che il trattamento con farmaci biologici è in grado di migliorare significativamente la capacità lavorativa dei pazienti con artrite reumatoide. Questo si traduce in un guadagno sia dal punto di vista economico sia di miglioramento della qualità di vita del paziente, considerate anche le ripercussioni che la riconquistata capacità lavorativa può avere sulla vita personale in termini di autostima e senso di utilità”, spiega la dott.ssa Manara.
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica articolare, potenzialmente invalidante. Tale patologia può condizionare in modo severo la vita dei pazienti per l’impatto del dolore e della disabilità sulle attività quotidiane e per le possibili ripercussioni sulla vita di relazione e lavorativa. Il paziente affetto da artrite reumatoide, infatti, è frequentemente costretto ad assentarsi dal lavoro a causa della malattia o può constatare una ridotta produttività, quando al lavoro. “Nei casi più gravi – aggiunge la reumatologa – la patologia può condizionare una disabilità che comporta la perdita dell’occupazione o l’inabilità al lavoro. Il nostro studio ha però dimostrato che dopo 12 mesi di terapia con farmaci biologici, il numero medio di giorni di lavoro persi e con diminuzione della produttività si riduce significativamente”.
Grazie all’avvento dei farmaci biologici e al miglioramento continuo delle capacità diagnostiche l’artrite reumatoide non spaventa più come in passato. Questo perché i farmaci biologici – ossia che contengono una o più sostanze attive derivate da una fonte biologica o che sono ottenuti attraverso un processo biologico – hanno una maggiore specificità dei farmaci ‘tradizionali’ nell’inibire i mediatori responsabili del processo infiammatorio e consentono il raggiungimento di un buon controllo della malattia o addirittura della remissione anche nei pazienti che non rispondono alle terapie standard. “La problematica principale relativa a questi farmaci sono gli elevati costi, condizionati dalla complessità dei processi di produzione: lo scopo del nostro studio è stato anche quello di quantificare il guadagno ‘indiretto’ derivato dall’utilizzo di questi farmaci, in termini di miglioramento delle capacità lavorative del paziente con artrite reumatoide”, sottolinea la dott.ssa Manara.
Lo studio osservazionale prospettico multicentrico ha arruolato 100 pazienti con artrite reumatoide in età lavorativa con una malattia attiva che hanno iniziato nello stesso periodo la terapia con farmaci biologici. I pazienti hanno dai 18 ai 65 anni di cui l’85% donne; l’età media è di 49 anni. Più della metà dei soggetti inclusi svolge un’attività lavorativa remunerata; un quarto dei pazienti invece sono casalinghe. Fra i rimanenti, vi sono studenti, pensionati o inabili al lavoro. “L’inclusione nello studio di soggetti non occupati, ovvero che non svolgono un’attività lavorativa remunerata – spiega la reumatologa dell’ASST Gaetano Pini-CTO –, ha permesso di valutare anche un aspetto spesso sottostimato da studi di questo tipo, ma importante per la vita del singolo paziente: l’impatto dell’artrite sulla capacità lavorativa domestica e sulle attività sociali. Si pensa inoltre che solo la riduzione della workability nei soggetti occupati abbia un risvolto economico, mentre anche la perdita della capacità lavorativa in ambito domestico può avere un impatto in tale ambito che può essere per esempio misurato come numero di ore in cui si è reso necessario ricorrere a un aiuto esterno per svolgere le attività necessarie per la vita quotidiana”. Nello studio la perdita di produttività lavorativa è stata misurata, per i soggetti occupati, come numero di giorni in cui il paziente è stato assente dal lavoro o ha avuto una riduzione della produttività al lavoro superiore al 50% nel mese precedente. Per tutti i soggetti inclusi, inoltre, sono stati calcolati i giorni nei quali il paziente non era in grado di svolgere le attività domestiche o ha constato una ridotta produttività nel lavoro domestico, così come il numero di giorni in cui le attività sociali erano state impedite dalla malattia, nel mese precedente. Questi parametri sono stati testati nei pazienti con artrite reumatoide prima dell’inizio della terapia con farmaci biologici e dopo 6 e 12 mesi di terapia, mostrando un significativo miglioramento di tutti gli indicatori di produttività lavorativa in seguito al trattamento.