Un trial clinico svolto presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma ha evidenziato gli effetti positivi della rotigotina, un farmaco comunemente utilizzato per pazienti con morbo di Parkinson, sulle funzioni cognitive in 94 pazienti con lieve o moderata malattia di Alzheimer. L’Alzheimer è una malattia che in Italia colpisce oltre 600mila persone e rappresenta circa il 60% delle oltre 1milione e 240mila diagnosi di demenza in Italia.

La rotigotina è un farmaco che agisce sulla trasmissione della dopamina nel cervello. Lo studio, intitolato “Effects of Dopaminergic Therapy in Patients with Alzheimer’s Disease” è stato condotto dal prof. Giacomo Koch (nella foto), neurologo e Direttore del laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia a Roma, in collaborazione con il prof. Alessandro Martorana, neurologo dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

Gli attuali trattamenti per l’Alzheimer agiscono sul neurotrasmettitore acetilcolina, tuttavia, la ricerca preclinica, ha rilevato un ruolo chiave anche nel neurotrasmettitore dopamina. Recenti studi scientifici hanno mostrato come la dopamina agisca a livello dei lobi frontali del cervello migliorando le abilità cognitive di ragionamento, le cosiddette funzioni esecutive.

“Questo studio è un importante passo avanti nel mostrare come i pazienti con malattia di Alzheimer possono trarre beneficio dalle combinazioni di farmaci che migliorano le funzioni cerebrali interagendo con diversi sistemi di neurotrasmettitori – ha affermato il neurologo Giacomo Koch – e potrebbe aprire a nuove opzioni terapeutiche per ritardare l’insorgenza della demenza di Alzheimer incentrate sulla trasmissione dopaminergica in trattamento precoce, quando le funzioni cognitive correlate all’attività del lobo frontale e le capacità di vita quotidiana dei pazienti sono solo lievemente compromesse”.

Sono tuttavia necessari ulteriori studi per determinare il ruolo potenziale della rotigotina nel trattamento dell’Alzheimer, afferma Koch.

“I pazienti trattati con rotigotina in questo studio hanno riportato alcuni miglioramenti che sono molto importanti per le persone con Alzheimer”, ha dichiarato Howard Fillit, Medico e Direttore esecutivo e scientifico dell’Alzheimer Drug Discovery Foundation.

“La rotigotina ha migliorato le funzioni esecutive, che aiutano i pazienti in compiti cognitivi chiave, come il ragionamento, il giudizio, la memoria di lavoro e l’orientamento. Ha inoltre migliorato la loro capacità di svolgere le attività quotidiane di routine come lo shopping, la pianificazione, l’igiene personale e l’alimentazione. Questo significa preservare la loro indipendenza più a lungo e ridurre l’onere per gli operatori sanitari”.

“L’ADDF ha una lunga storia nel sostegno a studi che come questo riutilizzano i farmaci esistenti, perché possono accelerare la nostra capacità di trovare nuovi trattamenti per l’Alzheimer”, ha affermato Fillit.

Per capire come la rotigotina influenza il funzionamento dei lobi frontali e le loro connessioni, sono state combinate diverse tecniche neurofisiologiche tra cui stimolazione magnetica transcranica, analisi di diagnostica per immagini ed elettroencefalogramma. Tramite queste tecniche è stato possibile rilevare che, ai miglioramenti osservati nelle funzioni cognitive, si accompagnava un incremento dell’attività cerebrale del lobo frontale dovuta a una modulazione della trasmissione dopaminergica.

Sicurezza e tossicità dei farmaci esistenti sono infatti già testate, permettendo tempi di approvazione più rapidi. “All’ADDF – prosegue Fillit – ci concentriamo sul finanziamento di studi che mirano a nuove strade per la cura della malattia di Alzheimer. Tra questi, l’osservazione delle alterazioni della trasmissione dopaminergica è molto promettente”.

DOPAD è stato uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo che ha arruolato 94 pazienti di età compresa tra 55 e 83 anni con malattia di Alzheimer da lieve a moderata. I pazienti sono stati assegnati a ricevere rotigotina 4 mg o placebo attraverso un cerotto transdermico per 24 settimane, come terapia aggiuntiva al trattamento standard con un inibitore dell’acetilcolinesterasi.